Stringe le mani al collo della moglie, poi la butta fuori di casa: «Ti ammazzo»

La vittima si ribella: «Sempre nervoso per motivi economici, mi ha presa a calci e insultata per qualsiasi pretesto». Il giudice: «Marito violento e prevaricatore, vada via dall’abitazione familiare e resti ad almeno 500 metri dalla donna»
CHIETI. Le mani si stringono intorno al collo, poi un calcio alla caviglia. Tre settimane dopo, la minaccia, urlata a un soffio dal viso: «Devi uscire da questa casa prima che ti ammazzo». Un’aggressione fisica seguita da uno spintone che la scaraventa fuori dalla porta, mettendo fine non solo a un litigio, ma a una convivenza segnata da abusi costanti. È la scena finale di un’escalation di violenza domestica, ricostruita nelle carte di un’ordinanza che ha spinto il tribunale di Chieti a disporre l’allontanamento immediato di un uomo di 67 anni dalla casa familiare e a proibirgli di avvicinarsi a meno di 500 metri dalla moglie.
Nel provvedimento, firmato dal giudice Maurizio Sacco, si impone all’indagato anche l’applicazione del braccialetto elettronico. Una decisione resa inevitabile da un quadro indiziario «solido» e da un pericolo che la violenza si ripeta «particolarmente elevato». L’intera impalcatura accusatoria si fonda sul racconto della vittima, ritenuto dal magistrato lucido, coerente e puntualmente riscontrato da prove oggettive. Nella sua denuncia, la donna ha messo in fila due episodi cruciali, avvenuti a settembre a poche settimane di distanza l’uno dall’altro, tra le mura della loro casa in un comune alle porte di Chieti.
L’ultimo alterco, quello che ha fatto scattare l’intervento dei servizi sociali, risale al 30 settembre scorso. Al culmine di una discussione, il sessantasettenne avrebbe prima insultato la moglie, definendola «pezzo di m…», per poi colpirla con uno schiaffo a una spalla e puntarle un piede contro. Un attimo dopo, l'ha spinta con forza fuori dall’abitazione, ordinandole di andarsene prima che potesse ucciderla: «Prima che ti ammazzo e ti metto le mani al collo». È stato il terrore a spingere la donna a chiedere aiuto, trovando rifugio in una sistemazione temporanea. L’annotazione dei carabinieri, che certifica la sua collocazione in una struttura protetta, è uno degli elementi che hanno blindato la sua testimonianza.
Ma l’episodio del 30 settembre è solo il culmine di una violenza già esplosa tre settimane prima. Il 7 settembre, la brutalità era stata ancora più fisica. Al termine del pranzo, l’uomo, descritto come «particolarmente alterato», dopo gli insulti le ha messo all’improvviso le mani al collo. Poi l’ha spintonata e colpita con un calcio, prima di allontanarsi. Poco dopo, la donna si è presentata al pronto soccorso dell’ospedale di Ortona. Il referto medico di quel giorno è il secondo pilastro dell'inchiesta: i sanitari hanno attestato la presenza di lesioni con una prognosi di dieci giorni, giudicate dal giudice «del tutto compatibili» con la dinamica descritta.
Ai carabinieri la vittima ha spiegato che non si trattava di gesti isolati. Ha parlato di aggressioni verbali ricorrenti, ogni due o tre settimane, descrivendo il marito come un uomo «molto nervoso», incapace di gestire le frustrazioni per problemi economici se non alzando la voce e insultandola per qualsiasi pretesto. Per il giudice Sacco, il suo racconto è privo di contraddizioni e non lascia trasparire intenti calunniatori o di strumentalizzazione. L’ordinanza sottolinea come, in casi come questo, la testimonianza della persona offesa possa costituire da sola una prova sufficiente, come stabilisce la giurisprudenza della Cassazione, rispetto al minimo richiesto dalla legge per adottare una misura cautelare. Il giudice l’ha ritenuta pienamente attendibile sia sul piano oggettivo, grazie ai riscontri medici e all'intervento delle forze dell’ordine, sia su quello soggettivo, non ravvisando alcun movente nascosto nella denuncia.
Sulla scorta di questi fatti, la procura ha tradotto il racconto della donna in precise contestazioni. Le ferite e i lividi sono diventati, sul piano legale, il reato di lesioni, aggravate dalla circostanza di essere state inflitte dal marito all’interno delle mura domestiche. La minaccia finale e lo spintone per cacciarla di casa hanno integrato il delitto di violenza privata, per aver costretto la moglie, con la forza, a rinunciare alla propria libertà e ad abbandonare l’abitazione.
È da questo quadro che emerge la valutazione finale del gip, che la descrive come una relazione basata su un «rapporto unilaterale violento e prevaricatore». L’incapacità dell’uomo di controllare i propri impulsi e la rapida successione delle aggressioni hanno convinto il giudice della necessità di una misura urgente, disposta senza neppure attendere l’interrogatorio dell’indagato. Una decisione presa per arginare un rischio ritenuto concreto e attuale, che spiega la severità del provvedimento: se l’uomo dovesse rifiutare il braccialetto elettronico, per lui scatterebbe una misura ancora più pesante, il divieto di dimora nel territorio del Comune di residenza.
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