Morta in ospedale per il Covid La famiglia: no all’archiviazione 

Secondo la denuncia l’86enne, ricoverata per un blocco renale, prese il virus nel reparto di Medicina Il pm chiude la vicenda, i parenti si oppongono al provvedimento: la decisione del giudice a maggio

LANCIANO. «Vogliamo chiarezza, risposte che finora non abbiamo avuto. La morte di mamma a causa del Covid contratto nell’ospedale Renzetti non può essere archiviata, ci sono delle responsabilità e devono essere trovate». Sono i familiari di Fiorina Maria Verì, morta all’ospedale di Chieti il 27 marzo 2020 per il Covid che si ritiene abbia contratto durante il ricovero nel reparto di Medicina di Lanciano ad opporsi, tramite l’avvocato Alfonso Ucci, all’archiviazione del caso chiesto dal procuratore capo del tribunale di Lanciano, Mirvana Di Serio. Per la procura, dopo quasi due anni dalla querela, non ci sono responsabilità dell’ospedale, della Asl, per la morte dell’anziana. Sarà il giudice per le indagini preliminari a decidere il 16 maggio prossimo se chiudere il caso di omicidio colposo o riaprire l’inchiesta cercando nuovi elementi. È uno dei primi casi di morte di Covid che approda dinanzi al gip di Lanciano.
LA STORIALa denuncia alla procura, il figlio di Fiorina Maria Verì la presenta tramite l’avvocato Ucci a giugno 2020, a tre mesi dalla morte della 86enne. Tre mesi di dolore, pensieri che ancora oggi sono fonte di sofferenza, di ricerca di spiegazioni per una morte avvenuta per Covid a Chieti, dopo che la mamma era stata ricoverata a Lanciano per problemi urologici. Tutto inizia il 3 marzo 2020 quando Verì arriva al Renzetti per un blocco renale. Viene dimessa il 5 marzo e rientra il 6 con un ricovero nel reparto di Medicina. Il 16 marzo viene dimessa, ma nel frattempo in Medicina, come in altri reparti del Renzetti, che doveva essere ospedale Covid free, scoppia un focolaio di coronavirus. Contagi tra pazienti, medici, infermieri. I familiari di Verì chiedono che alla mamma venga fatto il tampone prima di tornare a casa. È negato: non ha sintomi. A casa però la 86enne ha tosse, problemi respiratori che peggiorano tanto che il 24 marzo i familiari chiamano il 118. La donna viene portata a Chieti: ha un versamento pleurico. Il 27, dopo due giorni di silenzio, alle 17.30 dall’ospedale dicono che è intubata, alle 21 muore. Si fa il tampone, è positivo al Covid. La famiglia va in quarantena ma ha tre contagiati. «Mia madre non l’abbiamo più rivista», racconta il figlio, «è stata cremata, non abbiamo potuto partecipare al funerale e abbiamo saputo che era positiva dopo la morte. Perché non le è stato fatto alcun tampone quando in Medicina c’era un focolaio Covid e magari si poteva intervenire con cure mirate? Non si può essere ricoverati per un problema urologico, ammalarsi di Covid in ospedale e morire».
ARCHIVIAZIONE E OPPOSIZIONENonostante i documenti presentati dall’avvocato Ucci e le indagini dei Nas, per la procuratrice Di Serio non ci sono nessi, responsabilità da accertare, omissioni: il caso va archiviato. Procuratrice che è stata tra le prime nel 2020 ad aprire un’inchiesta proprio per i contagi in ospedale, i decessi, le verifiche sui dispositivi di protezione, la sicurezza nei luoghi di lavoro. Ma la famiglia non ci sta, troppo il dolore causato da una morte che si poteva forse evitare. Tanti i dubbi, i perché che cercano risposte. La parola passa al giudice che il 16 maggio deciderà se chiudere il caso o riaprirlo.
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