Palmoli

Nathan e quei tre letti vuoti: «Ci stanno perseguitando»

22 Novembre 2025

Il papà rimasto solo in casa: «Gli abruzzesi restano gente dal cuore grande. Ma mi sento tradito dall’Italia: non posso escludere un ritorno in Australia»

PALMOLI. Il buio a Palmoli non è mai stato così profondo. Non c’è la luna a illuminare la contrada inghiottita dal bosco, e non c’è più nemmeno la luce di quella vita «fuori dal sistema» che Nathan Trevallion e Catherine Birmingham avevano costruito pezzo dopo pezzo, credendo di poter fermare il mondo sulla soglia di casa. Mancano venti minuti a mezzanotte. L’orario in cui, di solito, il respiro dei tre bambini addormentati riempiva le stanze di questo casolare di pietra. Ora, ad accogliere chi arriva, c’è solo un silenzio assordante. Il silenzio della solitudine. Il silenzio di tre letti vuoti. Nathan Trevallion esce dal buio come un’ombra. Indossa una maglia verde di pile, i pantaloni grigi di una tuta e un paio di stivali marroni. Il viso è segnato da occhiaie profonde che raccontano lo choc delle ultime ore.

È stanco, svuotato, ma non perde quel garbo gentile che ha sempre mostrato, anche quando l’assedio mediatico si è fatto soffocante. Accetta di parlare. E la prima cosa che dice è una sentenza inappellabile sul suo dolore: «È la notte più brutta della mia vita. È un dolore grande al cuore. Togliere i bambini a un genitore è il dolore più forte che esiste. Siamo tristi, è stata un’ingiustizia». A fargli compagnia, in questa prima notte da uomo solo, adesso che il tribunale per i minorenni dell’Aquila ha disposto l’allontanamento dei suoi tre bimbi e il loro collocamento in una casa famiglia, sono rimasti soltanto gli animali. I cagnolini abbaiano, spezzando per un istante la quiete irreale del bosco, ignari che i loro piccoli padroni non appariranno per giocare.

Nathan, si aspettava questa decisione?

«No. È stata una sorpresa totale. Credevo di dover andare in Comune per parlare con il sindaco e con il curatore. Invece, quando siamo arrivati all’ufficio, c’era un esercito di carabinieri. Tanti, non li ho contati, ma erano tanti. Erano circa le cinque del pomeriggio. Nessun avviso, niente. Ho sentito il vuoto. Sento di aver perso tutta la mia vita».

Cosa è successo qui, alla casa?

«Loro hanno bloccato la strada, sia in su che in giù. Avevano paura che arrivassero tanti amici per fare una manifestazione, per sostenerci. Hanno bloccato tutto, non lasciavano entrare nessuno. Solo una coppia di amici è riuscita a passare. Ma qui, nel nostro terreno, non sono entrati. C’erano quattro macchine dei carabinieri in borghese, con vestiti normali, che ci hanno scortato fino a Vasto. È stato esagerato per prendere tre bambini. Una cosa straordinaria».

Come hanno reagito i suoi figli?

«Hanno sofferto. È veramente duro togliere dei bambini da casa così velocemente, dicendo loro che questa notte devono dormire in un posto che non riconoscono. È molto duro. Erano un po’ spaventati, ho visto le loro facce, erano sotto choc. Anche noi lo eravamo. Però non stavano piangendo. Erano abbastanza calmi, ma allontanare dei bambini dalla loro casa, dai loro animali, dalla loro terra e dal loro papà è un crimine».

Loro sapevano che questo momento poteva arrivare?

«Sì. Loro sanno perché sta succedendo. Noi non diciamo bugie ai nostri figli. Da un anno, fin dal primo giorno, gli abbiamo detto: il servizio sociale vuole togliervi ai genitori. È una cosa importante dire la verità. Ripeto: loro sapevano».

Sua moglie Catherine ora è con loro. È un sollievo?

«Sì, meno male che la mamma sta con loro. Ma c’è una cosa che non capisco. Non possono dormire insieme. Lei deve dormire separata, in una camera di sopra, e i bambini dormono sotto. Non può stare con i bambini mentre dormono. Questa è la cosa più dura. È una situazione brutta».

E lei? Quando potrà rivederli?

«Domani (ieri per chi legge, ndr) posso portare dei vestiti per loro, le scarpe, tutto quello che serve, perché è stato tutto troppo veloce, non c’è stato tempo di prendere nulla. Ma non mi lasciano entrare. Non so quando potrò vederli».

Cosa ha detto ai suoi figli prima di lasciarli alla casa famiglia? Quali sono state le ultime parole?

«Gli ho detto che li amo, di rimanere forti. Gli ho detto che sono al sicuro lì, nella casa famiglia. Come tutte le altre notti, gli ho detto: ci vediamo domani».

Lei si sente un cattivo genitore?

«Non mi sento accusato di niente di vero. Non hanno detto che siamo cattivi genitori. Semplicemente a loro non piace come facciamo noi. Siamo un po’ fuori dal sistema, i bambini crescono fuori dal sistema, e penso che per questo siamo perseguitati. Non stiamo facendo niente di male. Viviamo felici, con la natura. Perché volete togliere i bambini a una famiglia che è la più felice del mondo? Stanno distruggendo la vita di cinque persone serene».

Il tribunale parla di isolamento, di mancanza di scuola. Lei è pentito di questa scelta?

«No. Assolutamente no. Noi continueremo sicuramente a vivere così, connessi con la natura. Se potessi tornare indietro nel tempo, farei la stessa cosa. L’unica cosa di cui mi pento nella vita è aver iniziato a fumare sigarette 25 anni fa. È l’unica cosa. Per il resto, no. L’Abruzzo è un posto bellissimo, spettacolare. C’è la spiaggia, c’è la montagna. La gente ha un cuore grande. Non ho nulla contro nessuno, semplicemente il sistema del servizio sociale qui è un po’ brutto. Mi sento tradito dall’Italia, quello sì. Noi vorremmo restare, ma abbiamo un’altra opzione: prendiamo i passaporti, mia moglie con i bambini tornano in Australia e io resto qui a badare agli animali. Speriamo di no, perché a noi piace la nostra casa qui».

E sulla scuola? Sarebbe disposto a mandarli a scuola se questo servisse a riaverli?

«Se mi chiedono di mandare i bambini a scuola? No, assolutamente no. Per noi la maniera migliore per imparare è quello che stiamo facendo. L’unschooling. Ci sono diritti costituzionali per fare questo percorso. È la strada migliore. Io non ho amato molto la scuola, ma non è solo per questo. Ci sono tanti studi, negli Stati Uniti, nel Regno Unito, che dicono che questo percorso è migliore per il cervello del bambino. Crescono meglio, sono più aperti, più intelligenti, più connessi, soprattutto con la parte destra del cervello, c’è più compassione».

Lei dice che voleva proteggerli.

«Sì. Sicuro dal servizio sociale, ma sicuro anche dalla società della città. Non vedete le notizie? Cosa succede ai bambini nella società di oggi? Ci sono tanti problemi mentali, violenza, droga. Tutti questi tipi di problemi che non vogliamo far avvicinare ai nostri figli. Volevamo mantenerli al sicuro».

Adesso è qui da solo. Come immagina che stiano i suoi figli in questo momento?

«Spero che stiano dormendo. E che dormano tutta la notte senza paura. Guardare i loro letti vuoti mi fa male, molto male al cuore. Per un genitore, vedersi togliere i propri bambini è il dolore più forte che esiste. Questa, senza dubbio, è la notte più dolorosa della mia vita. Non ho mai provato qualcosa del genere».

Ha ancora fiducia nella giustizia?

«Non lo so. Non tanto. Non tanto, adesso. Vediamo cosa può fare l’avvocato. È il suo lavoro, io non capisco bene come funziona. Dobbiamo rimanere forti e seguire la strada dell’avvocato per far cambiare idea al giudice».

Le piacerebbe se i suoi amici facessero una manifestazione per voi, per chiedere che i bimbi tornino a casa?

«Sì, sarebbe una cosa bella. Naturalmente senza violenza e senza creare problemi».

Se potesse parlare ora con i giudici, cosa chiederebbe?

«Chiedo al giudice di avere un po’ di cuore. Di vedere che questa era la famiglia più felice del mondo e che sta distruggendo la vita di 5 persone. Chiedo che chiuda il caso contro di noi. Non stiamo facendo niente di male. Stiamo crescendo la prossima generazione in una maniera più connessa alla terra. Al giudice direi: fammi vivere la vita come ho scelto».

Pensa che la gente vi sostenga ancora?

«Sì. E abbiamo tanta gratitudine per tutta la gente che ci segue sui social. Abbiamo ricevuto sostegno da tutta Italia. È un po’ strano, ho pensato: tante persone sono d’accordo con noi, eppure succede questo. Non me lo spiego. Ho avuto fiducia che il giudice facesse una cosa buona, ma non l’ha fatto».

La notte avanza, il freddo si fa pungente. Nathan deve rientrare in quella casa che per la procura è un luogo «insalubre», privo dei requisiti per ospitare dei minori, ma che per lui era, ed è, semplicemente casa. Resta lì, nel buio, un uomo solo con le sue convinzioni e le sue macerie emotive.

Domani cercherà di portare dei vestiti ai suoi figli, sperando di intravederli, sperando che quel «ci vediamo domani» non diventi una bugia. Intanto, nel bosco di Palmoli, il silenzio è tornato a coprire ogni cosa. Non si sentono più le risate, non si sente l’altalena cigolare. Solo l’abbaiare dei cani che chiamano chi non può più rispondere.

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