«Palazzo Novecento va abbattuto»

I giudici del Consiglio di stato ribaltano la sentenza del Tar: «Costruzione abusiva»
LANCIANO. Palazzo Novecento deve essere abbattuto. Ribaltando l'ultima sentenza del Tar di Pescara, il Consiglio di Stato ha confermato l'ordinanza comunale di demolizione per l'immobile di via De Titta, abitato da una decina di famiglie. Si tratta dell'ennesima sentenza di una vicenda giudiziaria lunga undici anni e che ha spalancato di nuovo l'incubo di rimanere senza casa per gli inquilini del palazzo, costruito senza rispettare le previsioni del piano regolatore dell'epoca.
La sentenza riporta il caso di Palazzo Novecento al punto di partenza. Dopo undici anni di battaglie giudiziarie, la questione è ancora la stessa: il condominio va abbattuto con buona pace delle dieci famiglie che vi abitano da nove anni. Eppure il ricorso accolto dal Tar tre anni fa, l'unico favorevole, aveva ridato speranza agli inquilini dell'immobile. Che adesso i giudici romani hanno (quasi) definitivamente spezzato.
Erano tre le cause pendenti al Consiglio di Stato, solo due sono andate a decisione. Una terza è sospesa per un difetto di notifica, ma le aspettative che restano sono flebili. Il collegio dei giudici, presieduto da Luigi Maruotti, ha accolto il ricorso del Comune contro la sentenza del tribunale amministrativo di Pescara (su ricorso degli inquilini rappresentati dall'avvocato Carlo Paone) che bloccava l'ordine di demolizione ritenendo che non fosse l'unica soluzione praticabile per uscire fuori da questo brutto pasticcio edilizio.
I giudici romani hanno ribaltato questo giudizio, confermando le precedenti sentenze «sia del Tar che dello stesso Consiglio di Stato», le quali avevano stabilito che l'immobile risultava abusivo e non sussistevano alternative alla demolizione. Il Consiglio di Stato ha anche respinto il ricorso della società costruttrice, la Dnd Immobiliare, sullo stesso argomento. Respinta anche la richiesta di risarcimento danni perché, sostengono i giudici, «tutta la vicenda è sorta per una iniziativa edificatoria, caratterizzata da un eccesso di volumetria, riferibile al comportamento della società».
L'unico spiraglio che il Consiglio di Stato sembra lasciare aperto è nell'indicare come alternativa alla demolizione sarebbe stata «una variante urbanistica volta a dare un razionale assetto degli interessi, senza premiare le posizioni dell'autore dell'abuso». Ma il Comune può ancora sanare il pasticcio attraverso il piano regolatore? Sul palazzo di via De Titta è stata presentata anche un'osservazione.
«L'amministrazione sta approfondendo la sentenza e l'esistenza di eventuali responsabilità imputabili a precedenti amministrazioni», commenta l'assessore all'urbanistica, Marco Di Domenico (Pdl), «l'ordinanza di demolizione, emessa nel 2006, è stato un atto dovuto, ma non è escluso che si possa trovare una soluzione politica alla vicenda». Per gli inquilini, intanto, il futuro è più nero.
La sentenza riporta il caso di Palazzo Novecento al punto di partenza. Dopo undici anni di battaglie giudiziarie, la questione è ancora la stessa: il condominio va abbattuto con buona pace delle dieci famiglie che vi abitano da nove anni. Eppure il ricorso accolto dal Tar tre anni fa, l'unico favorevole, aveva ridato speranza agli inquilini dell'immobile. Che adesso i giudici romani hanno (quasi) definitivamente spezzato.
Erano tre le cause pendenti al Consiglio di Stato, solo due sono andate a decisione. Una terza è sospesa per un difetto di notifica, ma le aspettative che restano sono flebili. Il collegio dei giudici, presieduto da Luigi Maruotti, ha accolto il ricorso del Comune contro la sentenza del tribunale amministrativo di Pescara (su ricorso degli inquilini rappresentati dall'avvocato Carlo Paone) che bloccava l'ordine di demolizione ritenendo che non fosse l'unica soluzione praticabile per uscire fuori da questo brutto pasticcio edilizio.
I giudici romani hanno ribaltato questo giudizio, confermando le precedenti sentenze «sia del Tar che dello stesso Consiglio di Stato», le quali avevano stabilito che l'immobile risultava abusivo e non sussistevano alternative alla demolizione. Il Consiglio di Stato ha anche respinto il ricorso della società costruttrice, la Dnd Immobiliare, sullo stesso argomento. Respinta anche la richiesta di risarcimento danni perché, sostengono i giudici, «tutta la vicenda è sorta per una iniziativa edificatoria, caratterizzata da un eccesso di volumetria, riferibile al comportamento della società».
L'unico spiraglio che il Consiglio di Stato sembra lasciare aperto è nell'indicare come alternativa alla demolizione sarebbe stata «una variante urbanistica volta a dare un razionale assetto degli interessi, senza premiare le posizioni dell'autore dell'abuso». Ma il Comune può ancora sanare il pasticcio attraverso il piano regolatore? Sul palazzo di via De Titta è stata presentata anche un'osservazione.
«L'amministrazione sta approfondendo la sentenza e l'esistenza di eventuali responsabilità imputabili a precedenti amministrazioni», commenta l'assessore all'urbanistica, Marco Di Domenico (Pdl), «l'ordinanza di demolizione, emessa nel 2006, è stato un atto dovuto, ma non è escluso che si possa trovare una soluzione politica alla vicenda». Per gli inquilini, intanto, il futuro è più nero.
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