Lanciano

Morto dopo due interventi a Firenze, famiglia risarcita con 250mila euro: «Medico negligente e imprudente»

17 Novembre 2025

Paziente 85enne sceglie il Careggi per risolvere un problema al ginocchio, poi le complicanze post-operatorie. La perizia choc: «Ecco da cosa è stato provocato il decesso»

LANCIANO. È partito da Lanciano alla volta dell’ospedale Careggi di Firenze con una valigia con pochi ricambi, visto che il suo ricovero sarebbe stato breve, ma piena di speranza di liberarsi finalmente da quel fastidio al ginocchio che lo costringeva ad aspirazioni del liquido che si formava e difficoltà di movimento, come gli aveva assicurato il suo ortopedico. Ma quella valigia, dopo quasi un mese di ricovero, due interventi chirurgici, sofferenze indicibili, è stata chiusa dalle figlie con lacrime e dolore perché il loro papà, A.M., 85 anni di Lanciano, al Careggi è morto.

«Una morte assurda, per un intervento che richiedeva un ricovero breve e che non era neanche necessario», raccontano le figlie che hanno chiesto subito la cartella clinica all’ospedale per cercare risposte a un dolore improvviso e inspiegabile. Da qui l’avvio del ricorso al tribunale di Firenze contro l’azienda ospedaliera universitaria Careggi per accertare la responsabilità della stessa, seguito dall’avvocata Daniela Giancristofaro, e il raggiungimento di un accordo in cui la moglie e le figlie dell’85enne hanno visto riconosciute «le criticità» che portarono alla morte di A.M. e ottenuto un risarcimento di circa 250mila euro. Soldi che non leniscono affatto il dolore, che resta vivo e pungente.

«Papà si fidava di questo ortopedico», raccontano le figlie di A.M., «lui l'intervento per rimuovere la cisti di Baker al ginocchio non lo voleva fare, ma dopo mesi di terapie e la spinta dell’ortopedico per l’intervento si è messo in lista di attesa; piuttosto lunga visto che dall’Abruzzo molti vanno al Careggi. La mattina del 29 gennaio 2024 si è ricoverato in ortopedia al Careggi e la sera è stato operato: li è iniziato il nostro peggiore incubo». L’intervento, che doveva «durare poco», si protrae per 5 ore. «Ma i medici escono sorridenti e mi tranquillizzano», dice una figlia. «Alle 22 papà mi chiama: “Corri, il letto è pieno di sangue”. Mi allarmo, chiamo il reparto, negano tutto. Il giorno dopo vedo che sta male e la persona accanto mi conferma che il letto era pieno di sangue». Da lì un susseguirsi di problemi: febbre alta, dolore al ginocchio nero e al piede, trasfusioni continue di sangue. «La domenica lo visitano e il lunedì – 5 febbraio – ritorna in sala operatoria per bloccare l’emorragia che aveva», riprende la donna, «un intervento che abbiamo scoperto andava fatto dopo 36 ore al massimo. Finisce in terapia sub intensiva». Le condizioni peggiorano e il 21 febbraio il cuore dell’85enne cede. Le figlie ricordano poi lo shock finale: «Vediamo papà in un sacchetto, pronto per essere cremato. Ma noi non avevamo chiesto affatto la cremazione». Chiedono la cartella clinica e leggono tutti i problemi dal ricovero e le «complicanze che hanno determinato il decesso».

«Negligenze che hanno distrutto la sua e la nostra vita», riprendono le figlie che hanno avviato una consulenza di parte, eseguita dal dottor Viscardo Murri che ha evidenziato: «Gravi negligenze e imprudenze nell’esecuzione dell’intervento in cui i medici hanno causato la lacerazione di due arterie, provocato poi ematoma locale; nella gestione post-operatoria e omissioni rispetto alle linee guida e alle regole di buona pratica clinica, con nesso causale tra la condotta sanitaria dell’ortopedico e la morte del paziente». Da qui il ricorso in tribunale avviato dall’avvocata Giancristofaro, la conciliazione con l’azienda ospedaliera che porta alla moglie e alle figlie di A.M. un indennizzo di circa 250mila euro. «L’accordo riconosce che ci sono stati problemi nell’operazione», chiudono le figlie, «magra consolazione perché nostro padre non c’è più».

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