Piero Di Iorio, l’attore teatino che affascinò Eduardo De Filippo
Fu protagonista con Lina Wertmuller in Pasqualino Settebellezze, film candidato a 4 premi Oscar Forte il legame con la sua terra: il Marrucino gli ha dedicato una statua nel foyer del teatro
CHIETI. Oggi si commemorano 25 anni dalla morte di Piero Di Iorio. L’attore teatino, allievo alla accademia Silvio d’Amico di Andrea Camilleri e del maestro Luca Ronconi, avrebbe compiuto 52 anni il 26 dicembre del 1999. Piero era attore principalmente di teatro, passione che ereditò dal nonno, interpretò, tra i tanti personaggi, Creonte nell’Antigone, Agamennone nell'Ecuba di Massimo Castri, lavorò con Strehler, Calenda, Mario Missiroli, calibri da novanta della prosa, ma calcò anche i set del grande e piccolo schermo con Lina Wertmuller in Pasqualino Settebellezze, candidato a 4 premi oscar e fu Abramo Lincoln nell’omonimo film, recitò in Divina Creatura di Patroni Griffi.
La sua medaglia, tuttavia, la personale statuetta d’oro era l’aver recitato con Eduardo – il maggior rappresentante italiano del Novecento del mondo di Melpomene – con il quale condivideva il volto scavato da maschera greca di Siracusa. Fronte spaziosa, grandi occhi, alto, statura che quasi lo costringeva a piegare la testa in avanti in un portamento dinoccolato, atteggiamento sornione, fu scelto dal primogenito dei De Filippo per la commedia Bene mio e Core mio. Qualche mese dopo Eduardo morì lasciando a Piero in eredità i segreti dell’artista.
Piero Di Iorio era legatissimo alla sua Chieti che non ha mai lasciato. Non perdeva occasione per tornare. Ogni volta che poteva, dopo le tournee, andava nella bottega profumata dei genitori, che vendevano fiori nello storico negozio su Corso Marrucino. Tornava e si scherniva della sua carriera della quale non era propenso a parlare. Lontano dalle luci della ribalta, voleva vivere a pieno la vita di provincia, l’affetto dei suoi e della piccola figlia Maria. Mai mutato dall’innegabile successo, ai suoi amici che gli chiedevano su cosa stesse lavorando, rispondeva: “’na cosa pazz...”. E non prima di aver preso appuntamento per una serata alla quale non sarebbe andato, ridendo montava sulla Fiat 128 rossa, su cui aveva caricato fasci di fiori, per consegnare colori e profumi.
I funerali furono celebrati al Marrucino, gremito e sgomento, tra gli applausi di chi lo amava. Il teatro teatino gli ha dedicato una statua che ora campeggia nel foyer.
Sono 25 anni che manchi. Venticinque anni che manchi alla tua città che non ti ha dimenticato, al teatro al quale hai dedicato la vita. Te ne sei andato troppo presto, Piero, in una data quasi palindroma 9-9-1999, ma forse in tempo per non entrare nel terzo millennio, inizio di una modernità che avresti rifuggito, alba dell’epoca dei social, che certamente avresti detestato, privi di verità e palcoscenico sgarrupato di una rabberciata sceneggiatura. Tu, indimenticabile attore, preferivi la realtà della cultura. (k.g.)
La sua medaglia, tuttavia, la personale statuetta d’oro era l’aver recitato con Eduardo – il maggior rappresentante italiano del Novecento del mondo di Melpomene – con il quale condivideva il volto scavato da maschera greca di Siracusa. Fronte spaziosa, grandi occhi, alto, statura che quasi lo costringeva a piegare la testa in avanti in un portamento dinoccolato, atteggiamento sornione, fu scelto dal primogenito dei De Filippo per la commedia Bene mio e Core mio. Qualche mese dopo Eduardo morì lasciando a Piero in eredità i segreti dell’artista.
Piero Di Iorio era legatissimo alla sua Chieti che non ha mai lasciato. Non perdeva occasione per tornare. Ogni volta che poteva, dopo le tournee, andava nella bottega profumata dei genitori, che vendevano fiori nello storico negozio su Corso Marrucino. Tornava e si scherniva della sua carriera della quale non era propenso a parlare. Lontano dalle luci della ribalta, voleva vivere a pieno la vita di provincia, l’affetto dei suoi e della piccola figlia Maria. Mai mutato dall’innegabile successo, ai suoi amici che gli chiedevano su cosa stesse lavorando, rispondeva: “’na cosa pazz...”. E non prima di aver preso appuntamento per una serata alla quale non sarebbe andato, ridendo montava sulla Fiat 128 rossa, su cui aveva caricato fasci di fiori, per consegnare colori e profumi.
I funerali furono celebrati al Marrucino, gremito e sgomento, tra gli applausi di chi lo amava. Il teatro teatino gli ha dedicato una statua che ora campeggia nel foyer.
Sono 25 anni che manchi. Venticinque anni che manchi alla tua città che non ti ha dimenticato, al teatro al quale hai dedicato la vita. Te ne sei andato troppo presto, Piero, in una data quasi palindroma 9-9-1999, ma forse in tempo per non entrare nel terzo millennio, inizio di una modernità che avresti rifuggito, alba dell’epoca dei social, che certamente avresti detestato, privi di verità e palcoscenico sgarrupato di una rabberciata sceneggiatura. Tu, indimenticabile attore, preferivi la realtà della cultura. (k.g.)