Seicento ragazzi ascoltano l’Africa di Giobbe Covatta

Gli alunni di elementari e medie riempiono la platea del Supercinema Il comico: lì un bimbo impiega tre ore per fare quello che voi fate in 15 minuti

CHIETI. «Anche se i grandi ti dicono di stare attento, l’uomo nero non ti mangia. Anzi, potrebbe essere tuo amico». Con la consueta ironia Giobbe Covatta ha incantato una platea di 600 studenti delle scuole elementari e medie della città. Comico, attore, scrittore e testimonial di varie associazioni benefiche, ieri mattina in un Supercinema gremito ha raccontato della sua esperienza da volontario in Africa. Circa 50 viaggi nel corso di 20 anni, durante i quali Covatta ha fotografato, filmato e raccolto fondi per aiutare i ragazzini del Terzo mondo tramite Save the Children, Amref e Amnesty International. «Ho avuto a che fare con ragazzini della vostra età», esordisce, «ma un po’ più colorati».

Sfuggevole a taccuini e telecamere, del tutto a proprio agio di fronte alla folla di studenti, Covatta è stato invitato dall’associazione Erga omnes, dal Csv (Centro servizi volontariato) con il patrocinio del Comune di Chieti. E proprio il presidente della onlus, Pasquale Elia, è stato l’inconsapevole spalla dei siparietti del comico che ha incantato con le sue istantanee dall’Africa, riuscendo a soddisfare la curiosità dei bambini e a far leva sui problemi più urgenti del continente. «Perché hai deciso di aiutare i bambini africani?», chiede uno scolaretto. «L’unica possibilità per amare una persona», gli risponde Giobbe Covatta, «è conoscerla. Questi bambini mi erano simpatici e ho deciso di trovare qualche soluzione ai loro problemi». E ce n’è anche per chi è incuriosito dalle abitudini dei coetanei a sud dell’Equatore: «In Africa un bambino si sveglia quando sorge il sole. Vuole bere il latte, come voi, allora va a prenderlo dalla capra con il secchio e ci impiega mezz’ora. Poi vuole lavarsi e va al fiume, che magari dista 5 chilometri e la mamma gli chiede di riportare un po’ d’acqua in una tanica. Per fare quello che fai tu nel primo quarto d’ora della giornata», spiega ad un bimbo, «ci mette 3 o 4 ore. Poi finalmente va a scuola, che è lontana 10 chilometri. Eppure», si fa serio, «studiare è il diritto fondamentale di tutti i bambini, non il cellulare».

Un racconto appassionato, realistico ma che evita di impressionare il pubblico di ragazzini. «In Africa la vita è molto dura», prosegue, «perché non si mangia, non si beve, si lavora tantissimo con risultati scarsissimi». Ma i bambini riescono a divertirsi molto «costruendosi giocattoli bellissimi: macchinine con le lattine, aquiloni con le buste di plastica. Non conoscono i videogiochi, ma giocano tantissimo», racconta alla platea stupita. Nonostante i sorrisi, capita anche che «i genitori mi chiedano di non far giocare i bambini, perché quando corrono hanno fame e loro non hanno niente da mangiare». Tra un racconto e l’altro c’è spazio anche per qualche scherzo: «Anche lì mangiano gli arrosticini, ma di ippopotamo. E la loro specialità è il roastbeef fatto con il collo delle giraffa: è così lungo che ci mettono una settimana a tagliarlo». E mentre la platea ride per l’aneddoto delle flatulenze degli ippopotami che escono dall’acqua durante la notte, sullo schermo scorrono i reportage di Giobbe Covatta con la cruda realtà: in Africa 30 milioni di bambini vivono per strada abbandonati.

Francesca Rapposelli

©RIPRODUZIONE RISERVATA