Tugnoli al Premio Russo: «Con le foto cerco verità. E gli scatti raccontano la storia»

19 Ottobre 2025

Il giornalista lavora per il Washington Post: «Il passaggio ai social positivo per la fotografia». Ecco la nostra intervista 

FRANCAVILLA AL MARE. Abbiamo intervistato Lorenzo Tugnoli, fotogiornalista del Washington Post, che ieri è stato a Francavilla al Mare per ritirare il Premio Antonio Russo.

Lorenzo Tugnoli, ha girato mezzo mondo, vive in Libano e lavora soprattutto per testate statunitensi. Com’è tornare in patria e vincere il Premio Russo?

«Vincere questo premio significa essere riconosciuto in quella tradizione di giornalismo rappresentata da Russo e da altri grandi colleghi che erano sul palco con me».

Lei racconta attraverso la fotografia. Il potere di uno scatto è lo stesso di 30 anni fa?

«Sì. Il passaggio ai social è stato molto positivo per la fotografia. La nostra alfabetizzazione all’immagine è molto più grossa di quelle delle generazioni precedenti. Un tempo le fotografie le vedevamo solo sui magazine o sui giornali. Oggi ci interagiamo continuamente».

Milioni di interazioni con milioni di foto diverse, spesso inutili. Una foto potente in mezzo a una marea di sciocchezze non rischia di passare inosservata?

«È vero, viviamo in un sistema molto veloce, ma ci sono degli scatti che nel tempo saranno ricordate come testimonianze del passato. Il giornalismo non è soltanto raccontare quello che succede oggi per chi lo leggerà domani. Il 9 ottobre 2023 io sono andato in Israele per raccontare ciò che era appena accaduto. Quelle foto non spariranno, perché sono un documento storico».

Per capire il significato di un documento storico bisogna dedicargli attenzione. Nell’invasione delle immagini in cui ci troviamo oggi c’è ancora tempo per fermarsi e guardare?

«Ci sono delle foto che rimangono e delle foto che non rimangono. Il flusso continuo di immagini non cancella il valore degli scatti che raccontano la storia».

Più della scrittura, la fotografia è stata considerata per anni la forma di racconto più vicina alla verità. Oggi tra intelligenza artificiale, deep fake e così via non corre il rischio di essere depotenziata?

«È un rischio a cui andiamo incontro. Penso che il problema abbia a che fare con l’affidabilità delle fonti. Un tempo potevamo credere a un giornale perché l’attendibilità era tutto: scrivere una falsità costava cara. Oggi la situazione è indubbiamente più complessa».

Morale: i giornali non servono più?

«Direi l’opposto: i giornali oggi servono più che mai. Io lavoro per il Washington Post, che è un giornale che, con tutti i suoi problemi, non ha mai smesso di verificare le fonti per continuare a essere credibile. Esiste ancora l’informazione credibile e chi ci mette la faccia per garantirla».

Ho capito: non perderà il lavoro. Come è diventato fotografo?

«Lavorativamente parlando, non l’ho deciso. È stata una passione che è diventata qualcos’altro. Io ho studiato chimica all’università, anche se non mi sono mai laureato».

La passione per gli scatti quando arriva?

«Mi sono innamorato prima del viaggio che del racconto attraverso le foto».

In quale angolo di mondo la sua vita ha preso una svolta?

«Uno dei primi viaggi che ho fatto è stato a Chapas, nel Sud del Messico. Ai tempi lì c’era la milizia dei Zapatisti. Non ero ancora un fotografo, ma entrando a contatto con quella realtà ho capito che volevo raccontare. E la fotografia mi è sembrata il mezzo più adatto».

Si è sporcato le scarpe viaggiando prima di prendere in mano la fotocamera.

«Volevo scoprire, andare oltre la superficie e trovare la verità».

Come Antonio Russo.

«Direi di sì, anche se in qualche modo il suo lavoro era ancora più importante, perché non c’erano i social. Se non raccontavi un fatto, quello non era mai avvenuto. Ora, con i social, tutto viene fotografato, il punto è distinguere le fonti attendibili e quelle inattendibili. Russo raccontava la verità».

È questo che celebriamo con questo Premio? Il coraggio di dire la verità?

«Il giornalismo produce una storia per un pubblico. Cercare di raccontare in maniera super partes, senza allinearsi ad alcuna narrazione, è il nostro compito. È il punto fondamentale di questo mestiere e il cuore pulsante della democrazia».

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