I rilievi della polizia in via dei Conti Ricci e Antonio Sgrò

VASTO

Uccise un uomo per avere soldi: ecco chi è il bombarolo di Vasto

Antonio Sgrò in carcere per l’ordigno piazzato sotto l’auto di una 50enne che lo aveva respinto: nel 1994 eliminò il marito di una donna che commissionò il delitto

VASTO. Un passato da sicario, un presente da stalker e bombarolo. Un filo nero, invisibile e inquietante, lungo 29 anni, da un delitto su commissione a un attentato ai danni di una donna: alle estremità, lo stesso profilo, quello di Antonio Sgrò, 65 anni, calabrese.

Ecco chi è l’uomo che, due domeniche fa, ha seminato il panico a Vasto, in via dei Conti Ricci, piazzando un ordigno incendiario sotto l’auto di una cinquantenne colpevole solo di aver respinto le avance di un uomo che considerava un amico e che, sentitosi ferito da quel rifiuto, ha invece deciso di renderle la vita un inferno, dopo averle nascosto un passato oscuro. Perché Antonio Sgrò, originario di Cosenza, apparentemente un insospettabile elettricista con l’amore smisurato per gli animali, il 27 giugno 1994 – insieme a due complici – ammazzò a Frascati un povero falegname, Vittorio D’Ammassa.

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IL DELITTO. A ordinare l’omicidio a Sgrò, in cambio di 30 milioni di lire, fu la moglie della vittima. Lei, Patrizia Midei, ribattezzata dai giornali dell’epoca la “dark lady dei Castelli romani”, organizzò la feroce esecuzione del marito per liberarsi dell’ingombrante vincolo matrimoniale e godersi i legami affettivi intrecciati da pochi mesi con un nuovo amante. Sgrò fu ingaggiato da un’amica intima di Midei, Patrizia Iafrati, diventata la sua amante.

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LE INDAGINI. La verità, nel 1995, fu scoperta da una giovane poliziotta della squadra mobile di Roma. Le indagini le aveva prese in mano lei e da subito si era trovata davanti una vedova strana. Perché Midei sembrava avere tutte le risposte pronte, quasi avesse previsto di dover rispondere a un interrogatorio. Troppo dolore, per un marito che le voci di paese raccontavano come prostrato dai continui tradimenti. Troppe spese pazze, troppi vestiti e troppe partite a poker. Così la poliziotta, fatto mettere sotto controllo il telefono della signora, aveva accertato quasi subito che la vedova aveva una curiosa amica del cuore, Patrizia Iafrati.

L’INTERCETTAZIONE. Le due passavano ore al telefono: conversazioni inutili, noiose. Ma un giorno, ecco la frase curiosa: «Quando finirà questa storia?». Le due stanno parlando di un uomo, l’amante di Iafrati. Si chiama Antonio Sgrò, viene dalla Calabria. Sale fino a Roma solo per incontrare la sua donna clandestina: si incontrano al Tuscolano, o in qualche alberghetto ai Castelli. E adesso chiede soldi a Patrizia Midei. Lei si lamenta, dice che non ne può più. Ma perché Sgrò pretende dei soldi? Il calabrese chiede un milione, un milione e mezzo. Patrizia non vuole però darglieli. Indagini su Sgrò, e salta subito fuori che l’uomo ha già avuto guai con la legge. Ma, soprattutto, salta fuori che mesi prima lui e due suoi amici si erano messi a spendere come se avessero vinto al totocalcio. La polizia chiama Iafrati, e lei qualcosa comincia a confessare. Poi tocca a Sgrò, e anche lui si lascia un poco andare. Tessera dopo tessera, il mosaico comincia a mostrare delle figure complete.

L’AGGUATO. La morte di Vittorio D’Ammassa era costata 30 milioni. Tanto aveva promesso la moglie agli assassini. Naturalmente, a «lavoro» eseguito. Ai primi di giugno Sgrò e i suoi due complici, Pino Grosso e Giovanni De Grandis, fanno un primo tentativo. Ma sono costretti a rinunciare, e se ne tornano a Cosenza. Dieci giorni dopo, ci riprovano: Iafrati chiama il falegname sul cellulare, e gli dice che deve correre in laboratorio. Ma lui si porta dietro il figlio, e gli assassini, appostati nei paraggi, sono costretti a rinunciare un’altra volta. Iafrati telefona all’amica: che si fa? Ci penso io a portarlo fuori, dice la moglie. E infatti convince Vittorio ad accompagnarla fino a Fascati per un gelato. Al ritorno, mentre sta mettendo la Mercedes in garage, arriva un’altra telefonata: corri al laboratorio. La moglie entra in casa, lui sta per risalire in macchina. Gli assassini gli saltano addosso e lo uccidono come fanno di solito i mafiosi, «incaprettandolo»: un cappio intorno al collo, girato dietro un braccio, tirato fin giù, alle gambe.

IL GIALLO. Midei fa passare un’ora, poi comincia a telefonare a mezzo paese. «Avete visto mio marito?», chiede. «Non è tornato, sono in pena». La sera stessa la donna consegna i 30 milioni ai tre sicari. Qualche ora dopo, la scoperta del corpo. Ma a Sgrò quei soldi sembrano pochi, e allora comincia a ricattare Midei. Finché, otto mesi dopo il delitto, quella telefonata tra la vedova e l’amica del cuore fa scoprire tutto. ©RIPRODUZIONE RISERVATA