Valentina Gemignani, la ribelle con il ministro Giuli

Gli inizi a Pavia da segretaria. Il capo di gabinetto, di Chieti, racconta la scalata nel pubblico: «Sono sempre stata una “secchiona”, ho vinto un concorso e mi è cambiata la vita. Lavoro per la collettività, mai compromessi»
CHIETI. «Io sono fatta così: prendere o lasciare». Valentina Gemignani ha una fama che la precede: è una “ribelle” della pubblica amministrazione. Una fama che lei non smentisce affatto. Il suo «così» comprende tutto il contrario del pensiero comune sul pubblico: affrontare di petto i problemi senza fare finta di niente, prendere decisioni scomode e assumersi responsabilità ed esclude compromessi per il quieto vivere. Sarà anche per i capelli ricci e rossi come la principessa Merida del film d’animazione Disney, “Ribelle - The Brave”, lei passa per quella coraggiosa che non ha paura di scoccare una freccia.
Una lunga carriera ai vertici dello Stato: già 29 anni di servizio, è stata direttore generale del gabinetto del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri del Pd; adesso, è il capo di gabinetto del ministro della Cultura Alessandro Giuli di Fratelli d’Italia: al fianco di Giuli, è arrivata sette mesi fa all’apice di una bufera culminata con le dimissioni di Fabrizio Spano. E lei sempre in un silenzio ossequioso alla sua regola di vita: la riservatezza. È la prima volta che Gemignani si racconta: «Amo stare dietro le quinte», dice. Oggi, in occasione della Festa della Repubblica, Gemignani ritira un riconoscimento speciale nel palazzo della prefettura della sua Chieti: da oggi, diventa anche commendatore.
Cosa voleva fare da grande?
«Quando ero piccola, avrei voluto fare la parrucchiera per domare i miei capelli ricci e renderli lisci».
Un’impresa impossibile.
«Infatti, ho lasciato perdere. Poi, avrei voluto fare la hostess di volo. Ma erano pensieri da bambina. Poi, è capitato tutto un po’ per caso: ho studiato, ho vinto il primo concorso e quello è stato il momento che mi ha cambiato la vita: all’epoca, facevo la pratica da avvocato ed ero indecisa se fare l’avvocato oppure il magistrato e invece ho vinto il concorso da segretario comunale. È stato tutto repentino: era la vigilia di Natale del ’96 ed è arrivato il telegramma in cui si diceva che avrei dovuto prendere servizio a Pavia dopo soli 4 giorni. A casa mia sembrava che fosse accaduto un evento infausto».
Sarebbe a dire?
«Mamma piangeva e mio padre, seduto in poltrona, guardava il vuoto. Io ho detto: guardate che ho vinto un concorso, non è mica una chiamata alle armi. All’avvocato da cui facevo pratica ho detto: guardi, vado a prendere servizio ma poi torno. Però non sono più tornata».
E adesso che è diventata grande, è contenta di quello che ha fatto?
«Sì, sono davvero contenta perché a differenza di quello che generalmente si dice io amo la pubblica amministrazione e non per le garanzie del posto fisso ma perché mi sento al servizio dello Stato e degli altri: ho sempre cercato di fare tutto al meglio per la collettività. In questo, ci credo tanto e cerco di trasmettere la mia passione ai nuovi funzionari: a loro faccio delle lavate di testa per coinvolgerli perché non è solo una questione di timbrare il cartellino».
Lei ha studiato al liceo classico G.B. Vico di Chieti: era la prima della classe?
«Non esageriamo: eravamo un gruppetto di ragazze studiose. Però, sì: sono stata sempre una secchiona e mi piaceva studiare».
Materia preferita da ragazza?
«Mi piacevano molto l’italiano e il greco».
Allora, mi dica quale era il suo poeta preferito.
«Leopardi: in quegli anni ero un po’ pessimista».
Poi, laurea all’università di Teramo con 110 e lode: cosa ricorda di quegli anni?
«L’ansia degli esami. Prima di sedermi dicevo sempre: non so niente, adesso mi bocciano. E invece andavo bene e tutti i miei amici mi insultavano. Mi sembrava sempre di non sapere abbastanza e questo mi è rimasto ancora oggi: è un po’ come chiedere sempre di più a me stessa».
Sapiente è colui che sa di non sapere, vero?
«Significa spingersi a superare i propri limiti».
E come si diventa una donna importante nella pubblica amministrazione?
«Ma io non mi sento così importante».
A quanto pare, lo è.
«La cosa importante è lavorare per la collettività, poi che uno lo faccia da funzionario, da dirigente o da capo di gabinetto, cambia poco: lo spirito deve essere sempre lo stesso. Bisogna lavorare tanto e bene, cercando di essere sempre corretti, nell’interesse dello Stato a prescindere dalle situazioni contingenti e mi riferisco alla politica: io ho lavorato con governi di sinistra e di destra e non è mai contato il colore; per esempio, di un sindaco contano la sua preparazione e la sua onestà. E su questo sono stata fortunata: non riesco proprio a lavorare con qualcuno che non guarda nella mia stessa direzione di valori: una volta è capitata una diversità di vedute e sono andata via».
Lei è il braccio destro, forse anche sinistro, del ministro della Cultura Alessandro Giuli: tutto bene oppure pensa sempre chi me l’ha fatto fare?
«Sono contenta anche se il lavoro mi impegna tantissimo, più di prima e davvero non pensavo che sarebbe stato possibile lavorare ancora di più. Il ministero della Cultura è uno dei più importanti per quello che la cultura rappresenta in Italia: ci sono tante cose da fare e da scoprire».
Come ha accolto la nomina sette mesi fa?
«Con grande stupore, non me l’aspettavo. Non avrei mai pensato di fare il capo di gabinetto ma nella mia vita è stato tutto un po’ così; non ho mai avuto l’obiettivo di un certo traguardo perché, per me, il vero traguardo è lavorare bene e portare qualcosa in più rispetto a quello che non era stato fatto finora. Quando mi hanno chiamata, stavo per andare a cena al ristorante con due colleghe: ero fuori dal ristorante e non riuscivo a entrare nel locale. Poi, sono entrata e ho detto: mi è successa una cosa incredibile. Ero così stupita che non riuscivo neanche a gioire».
Allora, ha detto subito sì?
«Il giorno dopo sono andata a incontrare il ministro e pensavo che fosse una chiamata conoscitiva e, invece, lui aveva già scelto. Questo io non l’avevo capito: pensavo che facessi parte di una rosa di nomi e invece, secondo il ministro io potevo incarnare quello che stava cercando. Gli ho detto subito, però, che non sono una persona facile, che sono una che affronta i problemi e questo avrebbe potuto impattare sulla struttura: io non ce la faccio a fare finta di niente per il quieto vivere e questo può comportare criticità ma sono fatta così: gli ho detto: prendere o lasciare e lui mi ha preso, chissà se è ancora soddisfatto».
Una curiosità: anche con lei, il ministro usa un lessico ricercato?
«È una persona molto colta, si fa comprendere benissimo. Con me, parla normalmente».
Dalla sua posizione, la cultura in Abruzzo è... continui lei questa frase.
«La cultura è sempre un’opportunità per far conoscere la nostra regione che ha dei tesori, a volte ben nascosti: conosciamo ancora poco l’Abruzzo dal punto di vista culturale».
Da oggi diventa commendatore: è emozionata?
«Durante l’emergenza Covid, ero direttore generale al ministero dell’Economia e lavoravamo tutti i giorni in presenza, anche a Pasquetta: non era possibile fermarsi. È stata un'esperienza brutta per tutto il mondo ma il nostro team ha vissuto una fase positiva perché abbiamo creato una sinergia che fino a quel momento non eravamo stati capaci di fare: ci siamo supportati a vicenda e siamo passati dalla carta alla gestione digitalizzata e non è stato semplice. Per tutto quel lavoro, l’allora ministro Gualtieri ha proposto l’onorificenza per me: ne sono orgogliosa».
Se potesse dire grazie a chi lo direbbe?
«Dovrei dirlo a tante persone: nella mia vita è successo un po’ tutto per caso e ogni persona che ho incontrato mi ha aiutata a essere quello che sono e a trovarmi dove sono. Dico grazie ai miei sindaci che mi hanno insegnato a lavorare, ai miei capi di gabinetto, al ministro Giuli che mi ha dato questa opportunità. E ringrazio anche quelli che mi hanno fatto stare male».
E perché proprio loro?
«Perché mi hanno dato la forza e mi hanno insegnato ad affrontare i momenti negativi, di sconfitta e di confronto duro. Con le tue gambe e con il sudore della tua fronte, si impara sul campo a stare in piedi».
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