Vasto: fotografa una donna nuda e drogata, poi diffonde le immagini hard su TikTok

Un 68enne sotto accusa per revenge porn, interferenze illecite nella vita privata e diffamazione pluriaggravata. Il Pm: «L’ha ospitata a casa, poi ha approfittato delle sue condizioni di inferiorità». Scattano sequestri e perquisizioni
VASTO. Le pareti di una casa, che avrebbero dovuto offrire riparo e sicurezza, sono diventate il set di un’aggressione metodica, un palcoscenico per un’umiliazione. Un’ossessione domestica consumata a Vasto, dove la fiducia è stata tradita e la vulnerabilità di una donna di 46 anni trasformata in uno spettacolo digitale. Un sessantottenne è ora al centro di una pesante inchiesta della procura della Repubblica, che ha appena concluso le indagini preliminari a suo carico. L’impianto accusatorio delinea il profilo di un uomo che avrebbe agito con abuso del rapporto di ospitalità, approfittando della condizione di diminuita difesa di una sua ospite per fotografarla nuda e poi umiliarla pubblicamente. I fatti, secondo gli atti, sono collocati in un periodo «anteriore o prossimo al 12 novembre 2024».
Tutto, secondo la ricostruzione del pubblico ministero Vincenzo Chirico, si è consumato all’interno dell’abitazione dell’indagato. Un luogo che avrebbe dovuto essere un rifugio inviolabile e che invece si è trasformato in una trappola. La donna, che si trovava lì come ospite, versava in uno stato di diminuita difesa, incapace di comprendere e di agire a causa dell’effetto di sostanze stupefacenti. È stato in quel frangente di massima fragilità che il sessantottenne, armato di strumenti di ripresa, si è procurato indebitamente le immagini, un’azione che per la procura integra il reato di «interferenze illecite nella vita privata». Gli scatti contestati sono tre: fotografie che la ritraevano completamente senza vestiti. Un atto compiuto, secondo l’accusa, con la piena consapevolezza della condizione della donna, configurando così non solo un reato, ma anche un ventaglio di aggravanti, tra cui l’aver agito con abuso del rapporto di ospitalità e l’aver scientificamente approfittato della sua condizione di inferiorità fisica e psichica.
Le violazioni, però, non si sono fermate allo scatto rubato. Quelle tre immagini, dal contenuto sessualmente esplicito e per loro natura destinate a rimanere private, sono state invece deliberatamente proiettate nella pubblica piazza digitale. L’uomo, senza alcun consenso da parte della persona ritratta, le ha pubblicate sui propri profili pubblici di TikTok, Facebook e Instagram. Si configura così il reato di «diffusione illecita di immagini sessualmente esplicite», conosciuto anche come «revenge porn», una forma di violenza che affida alla viralità incontrollabile della rete la sua capacità di infliggere un danno permanente e spesso irreparabile alla dignità di una persona. La scelta di piattaforme così diverse e interconnesse ha massimizzato la potenziale diffusione del materiale, aggravando la «condotta delittuosa». La contestazione è resa ancora più grave dall’averla commessa attraverso strumenti informatici e ai danni di una persona in condizione di palese inferiorità.
A questa umiliazione, l’indagato ha aggiunto la beffa, condendo la pubblicazione delle immagini con un commento tanto sgrammaticato quanto offensivo, che gli inquirenti hanno trascritto integralmente: “In Italia c’è la mania dei capelli rossi nn posso farvi nula io l latrombo”.
Una frase che, per il pubblico ministero, non solo mira a schernire, ma sfocia a tutti gli effetti nella «diffamazione aggravata», ledendo la reputazione in modo quasi indelebile. Le immagini stesse, ritraendo la donna in uno stato di evidente difficoltà psico-fisica, contribuivano all’offesa. A rendere il tutto ancora più infamante, l’aver attribuito alla vittima il «fatto determinato» di aver avuto rapporti sessuali con lui, una circostanza che, nel lessico giuridico, aggrava ulteriormente la diffamazione, perché attribuisce un fatto preciso e non una generica offesa.
Il quadro accusatorio è appesantito da un castello di circostanze e dal nesso finalistico tra i fatti, che dipingono un’intenzione precisa. La procura contesta al sessantottenne di aver agito per «motivi futili e abbietti», identificati nel presunto piacere di rendere pubbliche le fotografie e nell’intento di diffamare la quarantaseienne. Fondamentale, nella tesi dell’accusa, è la concatenazione dei reati: l’uomo avrebbe prima acquisito illecitamente le immagini al fine di commettere i reati successivi di diffusione e diffamazione. Questo disegno criminale unitario suggerisce un’azione calcolata, non un gesto impulsivo. Il profilo tracciato dagli inquirenti è ancora più cupo perché sull’uomo pende anche la «recidiva reiterata e specifica», un’annotazione che suggerisce una pregressa e persistente inclinazione a delinquere. L’indagine, che nei mesi scorsi ha portato a una perquisizione domiciliare con il sequestro di due smartphone e una macchina fotografica Nikon, si è avvalsa della consulenza tecnica di Pierluigi Chiulli, che ha avuto il compito di analizzare il materiale informatico per ricostruire la sequenza dei fatti e l’origine della pubblicazione delle immagini.
Le ha offerto ospitalità. Poi l’ha data in pasto al mondo.