«Voglio sentire nell’aria l’odore di carne bruciata», il delirio dei neofascisti d’Abruzzo

11 Luglio 2025

Spuntano le chat dell’orrore con le foto di forni crematori e fosse comuni. Il capo del gruppo terroristico aizzava i complici: «È tutto pronto. Avete il coraggio di premere il tasto di un telecomando e avere 150 bestie sulla coscienza?»

CHIETI. È un viaggio nell’orrore più cieco. Leggere le chat dei neofascisti d’Abruzzo che volevano ammazzare immigrati e politici, tanto da stilare una “lista rossa” delle 14 personalità pubbliche da uccidere a colpi di arma da fuoco, significa sprofondare in un odio spietato, totale, senza pari. È da lì, da quelle conversazioni su Facebook in cui si inneggia ai forni crematori e alle stragi, alle fosse comuni e all’odore di carne bruciata misto a quello di polvere da sparo, che è nata e si è sviluppata l’associazione terroristica Avanguardia ordinovista, nel cui mirino erano finiti i parlamentari Nazario Pagano e Stefania Pezzopane (ora ex).

La Corte d’assise di Chieti (presidente Guido Campli, giudice estorsore Maurizio Sacco), nella motivazione della sentenza depositata tre giorni fa con cui ha inflitto più di 75 anni di carcere complessivi a dieci persone, cita numerosi messaggi condivisi sul social network dal capo Stefano Manni (già condannato in via definitiva con il rito abbreviato) e da altri imputati, «al fine di illustrarne il contenuto certamente connotato da odio etnico e razziale, il frequente riferimento ai movimenti di estrema destra degli anni Settanta, nonché, in taluni passaggi, al movimento fascista e nazista». Facebook, dunque, «oltre a fungere da cassa di risonanza per la propaganda delle idee eversive, ha consentito a Manni la ricerca e la selezione di coloro che riteneva più idonei al perseguimento degli scopi dell’associazione, in quanto seriamente intenzionati al compimento di gesti violenti».

«Io ho un sogno», scrive Manni, «prima di morire lo devo realizzare. Sentire nell’aria odore di carne bruciata commisto a quello di polvere da sparo. Urla selvagge delle sirene delle ambulanze sovrastare il tran tran quotidiano». Sembra una citazione consapevole, o forse no, del famoso monologo di Robert Duvall in Apocalypse Now. Sempre Manni, in un post con l’emblema del disciolto movimento politico Ordine nuovo, si rivolge ai suoi complici: «Quanto volete, è tutto pronto. Una domanda preliminare: avete il coraggio di premere il tasto di un telecomando e avere 150 bestie sulla coscienza?». In parecchie chat si manifesta l’idea di «ripulire» la nazione dalla presenza degli stranieri. Il capo dell’associazione digita: «La rivoluzione si fa con il sangue, non con la saliva». Marina Pellati (è stata condannata a sette anni e mezzo di reclusione) rilancia: «Per scuotere la gente non bastano i discorsi, ci vogliono le bombe». Un altro utente incita: «Non restiamo rivoluzionari da tastiera. È ora di lottare, combattere e di vincere». Maria Grazia Callegari (i giudici hanno inflitto anche a lei sette anni e mezzo) si spinge ben oltre: «Quando le mie narici sentiranno l’odore pungente del sangue, potrò dire d’appartenere a un grande popolo».

Manni pubblica l’immagine di una fossa comune e si scaglia contro chi ha legami – affettivi o persino di lavoro – con gli stranieri: «Sia chiaro, fin da ora. Se avete il partner allogeno, se avete cuccioli immondi generati da accoppiamenti con allogeni, se avete alle dipendenze (sia in nero che a colori) allogeni, se avete favorito l’invasione allogena, se avete in qualche modo coccolato allogeni, il vostro destino è una fossa comune. Segnalatemi, tranquillamente, ma non dimenticate... mettete al riparo le vostre carotidi prima che su di voi si abbatta la sentenza». Un utente aizza gli altri: «A morte tutti i traditori del nostro popolo e della nostra razza». Ornella Garoli, tra le più attive sui social, pensa a una serie di attentati: «In primo luogo eliminare un po’ di feccia dalle nostre città in modo “mordi e fuggi”. Colpire e sparire. Colpire e sparire. Poi passare alla rivolta di massa per i “signori” dei “palazzi”. Siamo in 60 milioni di cittadini, ne basta il 10% e l’esercito non potrebbe fare nulla».

Proprio la Garoli non mostra «alcuna ritrosia di fronte alla pianificazione degli attentati», specificano i giudici. La donna, come ricostruito dai carabinieri del Ros, svela al telefono – senza sapere di essere intercettata – di portare sempre nella borsa un coltello. Poi, parlando degli immigrati extracomunitari, dice a un’altra indagata: «Se me ne capita uno a tiro, ti faccio vedere quello che succede». Facendo riferimento alla ricerca di un’arma da fuoco, invece, aggiunge: «Se mi capita di trovare qualche ferro (inteso, nella terminologia da strada, come pistola, ndr), lo prendo se ho due lire e faccio quello che devo fare». Le donne di colore sono il bersaglio preferito della Callegari. «Dicono che le negre», vomita sempre su Facebook, «siano molto “calorose”. Se poi ci buttate sopra una tanica di benzina, sarà una notte infuocata». E giù grasse risate. I riferimenti al periodo nazista non si contano. «Se non pensiamo seriamente alla soluzione finale, non cambierà nulla», prosegue un altro fanatico.

Tra le immagini postate da Manni c’è quella di due forni crematori di epoca nazista. La foto choc è accompagnata da questa frase: «In un momento storico in cui tutti inneggiano alla integrazione degli allogeni, io mi sono premunito... Voglio stare al passo con i tempi e mi sono dotato di un integratore. Funziona a legna, ma anche a gas e a energia elettrica e ne integra due per volta». E qui interviene ancora una volta la Pellati: «Belli! Sembrano confortevoli», digita. «Full optional», risponde Manni. «Ok, proviamoli subito», propone un altro utente. «Dici che si offendono se li “inforniamo” a due a due?», si domanda la Callegari. «E poi ditemi che non sono buona». Il viaggio nell’odio tocca livelli raccapriccianti con l’osservazione di tale Daniela: «Ma che figata», dice riferendosi sempre ai forni crematori, «pure il vetro per vedere come si dimenano!». 

«Esistevano più livelli di condivisione dei contenuti», ricostruiscono i giudici di Chieti, «uno più esterno, pubblico, nel quale venivano certamente esternate opinioni eversive, ma con toni più discreti, l’altro, riservato ai più fidati, nel quale l’ideologia raggiungeva il suo apice; ciò a dimostrazione della piena consapevolezza da parte degli associati riguardo la gravità di certe posizioni e al pericolo che sarebbe derivato dalla diffusione di tali contenuti a occhi indiscreti». La Corte d’assise teatina spiega i passaggi successivi dell’opera di proselitismo attraverso i social: «Dopo alcune interazioni su Facebook, il soggetto che avesse manifestato un interesse tangibile ai contenuti condivisi dal gruppo veniva sottoposto a una prima selezione, finalizzata a saggiarne la coerenza ideologica, attraverso un “controllo incrociato” effettuato con i più profili Facebook a disposizione di Manni. Superato questo test, dopo un ulteriore approfondimento della conoscenza per via telefonica, si passava all’incontro con Maria Grazia Callegari, incaricata da Manni di individuare potenziali membri e, nello specifico, di verificarne l’affidabilità. Soltanto alla fine, dopo aver superato queste verifiche preliminari, avveniva l’incontro con Manni». E si sprofondava nell’orrore. Non solo più virtuale.

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