Comunicato Stampa: “Il riflesso”, un romanzo storico visionario che interroga l’enigma del doppio

30 Giugno 2025


Fin dalla notte dei tempi, lo specchio ha esercitato una fascinazione ambivalente: può essere riflesso fedele o portale per l’illusione, il segno del confine tra il visibile e l’invisibile. In Platone, il riflesso era l’ombra imperfetta del mondo delle Idee, e solo il filosofo, sollevando il velo dell’apparenza, poteva cogliere la verità. In ambito religioso, soprattutto nella tradizione cristiana, lo specchio è stato interpretato come simbolo della vanitas, dello sguardo che si perde nel sé e rischia l’idolatria dell’immagine. Ma è anche, nella “speculum charitatis” cistercense, un’immagine del cuore purificato, nel quale può riflettersi Dio. La letteratura, dal canto suo, ha moltiplicato all’infinito i significati del riflesso: da Alice attraverso lo specchio fino alla Lettera rubata di Poe, passando per Borges e i suoi labirinti di specchi, l’immagine riflessa è sempre anche una soglia .
Il nuovo romanzo di Matteo Traballoni , “Il riflesso” (Gruppo Albatros il Filo) , si innesta con singolare audacia in questo solco archetipico. Tutto è riflesso, tutto è sdoppiato: la realtà e la sua copia deformata, l’identità e il suo doppio, il mondo esterno e quello interiore. La struttura stessa della narrazione appare come costruita secondo una logica riflessiva, laddove ogni evento ha un’eco e un controcanto. Il riflesso è selettivo, perturbante, spesso inquietante: specchiandosi in esso, siamo costretti a chiederci: ciò che vedo è reale o è solo il riflesso di un desiderio, di una paura, di una menzogna ben costruita?
La Serenissima , spettacolare teatro del romanzo, è per antonomasia città di maschere e nebbie: l’autore ambienta le vicende di Zorzi , il giovane protagonista, nel pieno splendore della Repubblica, quando la città era una potenza mercantile e un crocevia culturale, ma anche una superpotenza diplomatica. È nel respiro ampio delle galee e nel silenzio delle calli che prende forma il dramma familiare che innescherà la narrazione.
Traballoni inserisce l’espediente narrativo del commercio degli specchi , prodotto raro e ambìto, tanto da scatenare rivalità e peregrinazioni. Proprio in una miniera in Terra Santa , luogo remoto e popolato di leggende, Zorzi scoprirà una verità che l’Europa razionale non avrebbe potuto sopportare. Gerusalemme è frontiera del sacro e del profano, terra biblica e teatro di ombre, spazio reale e mentale dove l’identità si disgrega. Nella miniera l’autore compie un gesto dirompente: spezza l’asse del realismo e introduce l’allucinazione come nuova legge. Il mondo diventa rifrazione e vertigine.
Al centro del romanzo si muove una famiglia spezzata , paradigma di un potere che non riesce più a garantirsi la sopravvivenza per via ereditaria. Zorzi, figlio di un mercante, si ritrova orfano del padre, di cui riceve non tanto un patrimonio quanto un enigma . Il vero padrone di casa è ora lo zio, che gestisce i commerci con astuzia e risolutezza, mentre i fratelli vengono spediti in terre lontane per portare avanti un’eredità che somiglia più a una condanna.
Zorzi, ultimo dei figli eppure unico depositario del dubbio , decide di disertare il ruolo assegnato. Compie così un gesto eversivo, dettato dal desiderio di ottenere risposte e non separarsi dai fratelli. Scopre, man mano che si inoltra nel cuore oscuro del Mediterraneo, che il potere patriarcale è ormai logoro, incapace di generare senso. In questa crisi della famiglia si specchia la crisi dell’intera civiltà veneziana, che assiste al declino del proprio dominio mentre cerca disperatamente di salvare la facciata. Come Zorzi, anche Venezia ha paura di guardarsi davvero, di infrangere lo specchio che ne custodisce la bellezza. Ma il riflesso, una volta intravisto, non può più essere ignorato.

La scena degli operai identici nella miniera è una delle più disturbanti dell’intero romanzo. Non si tratta di semplici somiglianze: ogni lavoratore è una replica dell’altro, come clonato da un archetipo. Qui il romanzo lambisce Dostoevskij, sfiora Stevenson e si rifrange in Borges: il doppio non è solo un altro me, ma l’annullamento dell’individuale . Lo specchio, da strumento di verità, diventa il luogo della perdita: non ci si vede, ci si moltiplica.
Nel personaggio del Barbin, Traballoni inserisce una tensione mistica che sfocia nel patologico. Citazioni evangeliche, sogni profetici e visioni demoniche si intrecciano a una sindrome compulsiva, che si manifesta in crisi epilettiche, visioni diaboliche, stati di trance. Il confine tra fede e follia si dissolve. Il diavolo non è presenza tangibile, ma riflesso interiore. La possessione si annida nel vuoto lasciato dalla ragione, e l’epilessia diventa, come in Dostoevskij, simbolo dell’anima che vacilla sotto il peso del senso.
Ciò che colpisce sin dalle prime pagine de “Il riflesso” è la consapevolezza stilistica con cui Matteo Traballoni maneggia i suoi strumenti narrativi. La sua scrittura ha qualcosa di barocco: un lessico denso, in cui l’aggettivazione diventa orpello e ornamento, ma anche spia di un pensiero che si costruisce per stratificazione, non per linearità. In questo senso, lo stile dell’autore è teatro e il suo romanzo una scena ininterrotta. I personaggi entrano e si muovono come attori, con gesti ampi e dialoghi scolpiti, in una teatralità antica che ricalca il tempo e l'ambientazione dei fatti narrati. Eppure, sotto questa patina si avverte la tensione della giovinezza che cerca di darsi una forma, di raccontarsi attraverso un protagonista che gli somigli e che possa compiere, anch’egli, un viaggio alla scoperta di sé. 
"Il riflesso" è un romanzo storico , ma evoca il soprannaturale servendosi di un riuscito realismo magico . A questo si lega il racconto mistico , che si insinua nei monologhi di certi personaggi, nelle allucinazioni febbrili, nei simboli religiosi e alchemici. Il tutto convive in una struttura che non rinuncia al pathos, ma che trova un equilibrio tra visionarietà e rigore.
Zorzi scoprirà troppo presto che l’apparenza del riflesso può celare un abisso, che dietro ogni volto può esserci un altro volto, identico eppure falso. Traballoni spinge il lettore a diffidare della superficie . Come nei labirinti di Borges, ogni specchio può generare un altro specchio, e poi un altro ancora, in un gioco infinito che conduce più all’angoscia che alla verità. Eppure, proprio in questa vertigine si apre uno spiraglio. Se il sapere è rifrazione e non rivelazione, allora il riflesso, pur nella sua falsità, può diventare anche strumento salvifico: esso ci costringe a guardare meglio e ci educa al dubbio.
Alla fine della lettura, resta la sensazione di aver attraversato un labirinto , dove ogni riflesso rimanda a un altro, e ogni passo in avanti è anche un ritorno su di sé. Traballoni non cerca la linearità, né l’equilibrio: cerca l’intensità, l’inquietudine, l’attrito e in questo trova la sua voce.
Il riflesso è un’opera che si confronta, senza timori reverenziali, con i grandi temi della letteratura: l’identità, la verità, la follia, il sacro e lo fa con una lingua esuberante, calibrata e sempre vivace. È un romanzo in cui non si giunge alla verità attraverso le certezze, ma attraverso lo smarrimento. Bisogna perdersi , attraversare il buio, guardarsi allo specchio e accettare che l’immagine restituita non sarà mai intera . È in questa frattura che si nasconde la possibilità della conoscenza e forse, come in ogni grande romanzo d’iniziazione, è lì che nasce davvero la letteratura.
 

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