pescara – spettacolo del progetto Oikos per Artisti nei Territori
Al Florian c’è “Cléone” favola di corpi e libertà
PESCARA. Una favola moderna con 7 corpi e 7 voci che ridono, gridano a gran voce le loro aspirazioni, i loro sogni, le loro paure, la loro poesia (in lingua italiana). Domani, alle ore 19, sarà...
PESCARA. Una favola moderna con 7 corpi e 7 voci che ridono, gridano a gran voce le loro aspirazioni, i loro sogni, le loro paure, la loro poesia (in lingua italiana). Domani, alle ore 19, sarà possibile assistere alla restituzione della residenza artistica ospitata al Florian Espace di Pescara per il progetto Oikos-Residenze per Artisti nei Territori, delle compagnie belghe Compagnie du Campus e Collectif Libertalia, in collaborazione con l’italiana Arca Azzurra, dal titolo “Cléone”.
«Una Negra, chiamata Cléone, 35 anni di piccola taglia, marchiata AYMERY S.MARC, è marronne da tre settimane. Chi la riconoscesse è pregato di arrestarla e avvisare il Signor Galibert, Négociant au Cap…»: questo annuncio del 1766 affisso a Santo Domingo è lo spunto di partenza dello spettacolo, e introduce il termine Marron che proviene da una parola antillana, Cimarrón, e significa «freccia che cerca la libertà». Questo è il nome che gli spagnoli avevano dato al toro che fuggiva in montagna e in seguito la parola è passata anche in altre lingue per designare lo schiavo che, in America, cerca rifugio nelle foreste, nelle paludi, nelle gole profonde e che, lontano dal padrone, costruisce una casa libera e la difende. Cléone è un corpo che resiste e che parla a modo suo. Una voce senza età che abbiamo smesso di ascoltare, un corpo senza confini che abbiamo tormentato ma che danza la sua profonda libertà. «Signori, signore, saremo tutte e tutti marron, ovvero latitanti. Schiavi in cerca di riscatto. Vorremmo condividere con voi l’idea di un’umanità praticabile. Dove danzare e cantare sono le nostre uniche armi. Abbiamo così tanto bisogno di emancipazione». Il messaggio di Cléone e i suoi compagni non è un messaggio, è un fatto. «Sono realtà», dice. «Sono combattente, ballerina, cantante e musicista sugli scalini dei vostri palazzi. Domani, torno a vivere. Domani, sarà luce». «Aldilà dell’utilizzo di un testo come punto di partenza, il lavoro condotto da Patrick Duquesne e Giovanni Orlandi», si legge nella presentazione dello spettacolo «si caratterizza dall’uso di diverse espressioni non verbali articolate intorno a una ricerca sul corpo, i suoi movimenti, voci, silenzi, ritmi; una ricerca che sconvolge il meccanismo del dialogo e della forma drammatica tradizionale. Il racconto, gli obiettivi sono ben presenti, però si esprimono diversamente dal modo consueto».
«Una Negra, chiamata Cléone, 35 anni di piccola taglia, marchiata AYMERY S.MARC, è marronne da tre settimane. Chi la riconoscesse è pregato di arrestarla e avvisare il Signor Galibert, Négociant au Cap…»: questo annuncio del 1766 affisso a Santo Domingo è lo spunto di partenza dello spettacolo, e introduce il termine Marron che proviene da una parola antillana, Cimarrón, e significa «freccia che cerca la libertà». Questo è il nome che gli spagnoli avevano dato al toro che fuggiva in montagna e in seguito la parola è passata anche in altre lingue per designare lo schiavo che, in America, cerca rifugio nelle foreste, nelle paludi, nelle gole profonde e che, lontano dal padrone, costruisce una casa libera e la difende. Cléone è un corpo che resiste e che parla a modo suo. Una voce senza età che abbiamo smesso di ascoltare, un corpo senza confini che abbiamo tormentato ma che danza la sua profonda libertà. «Signori, signore, saremo tutte e tutti marron, ovvero latitanti. Schiavi in cerca di riscatto. Vorremmo condividere con voi l’idea di un’umanità praticabile. Dove danzare e cantare sono le nostre uniche armi. Abbiamo così tanto bisogno di emancipazione». Il messaggio di Cléone e i suoi compagni non è un messaggio, è un fatto. «Sono realtà», dice. «Sono combattente, ballerina, cantante e musicista sugli scalini dei vostri palazzi. Domani, torno a vivere. Domani, sarà luce». «Aldilà dell’utilizzo di un testo come punto di partenza, il lavoro condotto da Patrick Duquesne e Giovanni Orlandi», si legge nella presentazione dello spettacolo «si caratterizza dall’uso di diverse espressioni non verbali articolate intorno a una ricerca sul corpo, i suoi movimenti, voci, silenzi, ritmi; una ricerca che sconvolge il meccanismo del dialogo e della forma drammatica tradizionale. Il racconto, gli obiettivi sono ben presenti, però si esprimono diversamente dal modo consueto».