Cannes: la Parigi dannata di Ladj Ly  

In concorso Les Miserables, film choc su violenza della polizia nelle banlieue

CANNES. Si ragiona per bande nelle banlieue parigine: ci sono i gitani, i fratelli musulmani, i papponi, le prostitute nigeriane, i ladri e i poliziotti. Questi “Les Miserables” che racconta Ladj Ly, primo film in concorso per la Francia nella 72ª edizione del Festival di Cannes.
Nessun ricco all’appello in questa potente opera prima, solo gente che si arrangia, poveri, ultimi che vivono nel quartiere di Montfermeil proprio dove era ambientato gran parte del romanzo di Victor Hugo (anche da qui il titolo). Gli unici che hanno la possibilità di salvarsi sono quelli che non hanno ancora preso una forma compiuta, ovvero i ragazzini, ma come dice sempre Hugo nel suo famoso romanzo: andrebbero educati.
Non è certo il caso di quelli di Montfermeil dove piomba il giovane Stephane (il bravo Damien Bonnard), appena arrivato da Cherbourg a Parigi, assegnato alle brigate anticrimine dove ovviamente non si va troppo per il sottile. Tanto più quando i colleghi con i quali fa squadra sono il violento Chris (Damien Manenti) e il più gregario Gwada. Così, dopo aver risolto qualche caso ordinario nel quartiere, arriva per i tre quello dei gitani di un circo a cui hanno rubato il cucciolo di un leone che accusano i fratelli musulmani.
È quasi guerra tra le due comunità, ma la cosa va anche peggio quando i 3 poliziotti si ritrovano a fare un atto di violenza grave che viene ripreso da un drone (un oggetto tormentone in questa edizione: compare nel film di Jarmush e in quello brasiliano, Bacurau). Recuperare quel video che li accusa per i poliziotti sarà fondamentale e questo in un quartiere polveriera dove la violenza è nell’aria. E in Les Miserables di violenza c'è n’è davvero tanta, anche quando non si manifesta davvero. Fino a un finale travolgente. Membro del collettivo Kourtrajmé (fondato da Romain Gavras e Kim Chapiron) dal 1996, Ladj Ly, 39 anni, ha una profonda conoscenza dell'ambiente in cui ha già girato il documentario 365 jours à Clichy-Montfermeil (2005 ), sulle rivolte urbane. Sua anche la docu-fiction Go Fast Connection (2008), che ha messo in discussione il modo in cui i media hanno ritratto le banlieue.