SPETTACOLI

Carofiglio: io, ottimista capace di indignarsi

Lo scrittore pm al John Fante Festival di Torricella Peligna: «Le migrazioni arricchiscono le civiltà»

Gianrico Carofiglio dice di non credere ai segni del destino quanto piuttosto alla capacità che gli uomini hanno di impegnarsi per il progresso della collettività. La sua personale scelta di dedicarsi alla scrittura a tempo pieno dando le dimissioni dalla magistratura per assecondare «la passione per le storie», ne è un esempio ammirevole e rigoroso: «Che fiducia può avere il cittadino verso l'istituzione se fai lo scrittore in prima battuta e il magistrato come secondo lavoro? Il mio non è stato perciò un abbandono, ma un atto di rispetto per i principi cui ho cercato di attenermi durante i molti anni in cui ho fatto il magistrato».
Lo scrittore ex sostituto procuratore antimafia di Bari, lo racconta al Centro in attesa di salire sul palco del John Fante Festival (JFF) al via oggi a Torricella Peligna (www.johnfante.org). Ospiti della XII edizione del JFF che affronta il tema delle migrazioni passando per John Fante e la letteratura outsider sono, oltre a Carofiglio, Jim e Victoria Fante, Matteo Nucci, Francesco Durante, Leonardo Colombati, Edoardo Camurri, Luca Briasco, Carlo Paris, Carmen Pellegrino, Omar Di Monopoli, Matteo Marchesini, Nada, che si esibirà anche in concerto insieme a Julian Barrett.
Carofiglio, lei è tra i principali ospiti del festival anche grazie al popolare personaggio dell’avvocato Guido Guerrieri che compare per la prima volta nel suo romanzo d'esordio, Testimone inconsapevole, dove si sofferma a leggere il mitico epilogo di Chiedi alla polvere. Si sente un autore fantiano?
Non mi sento fantiano, come non mi sento kafkiano (e Kafka è il mio autore preferito).Non mi piace l’idea di esser seguace di qualcuno. Ciò detto è vero che con i romanzi di Fante ho un rapporto speciale. Avevo letto Chiedi alla polvere poco prima di cominciare a scrivere, spinto dalla bellissima prefazione di Bukowsky. Poi l’ho riletto durante e devo dire che la lettura di quel romanzo ha avuto una grande influenza sul mio apprendistato letterario.
Quella di Fante è una storia di migrazione, per quanto eccellente. Un fenomeno che oggi ha assunto dimensioni tragiche. Come la vede?
Le migrazioni sono parte inevitabile della storia passata, presente e futura dell’umanità. Pensare di potersi opporre ai flussi migratori coi muri, prima di essere segno di razzismo e di mancanza di solidarietà, è segno di mancata comprensione dei fenomeni storici dell’umanità. Il razzismo è espressione di ignoranza, paura della diversità. Laddove c’è incrocio, meticciato, si produce progresso. La civiltà che muoiono sono quelle che si chiudono in se stesse mentre si evolvono quelle che si mescolano e si ibridano. Non bisogna avere paura, la storia ha una dizione positiva. Si vive meglio rispetto a cento, duecento anni fa grazie ai progressi della medicina, alla progressiva diminuzione della fame nel mondo, al miglioramento della sicurezza globale. Sono tanti i segnali positivi che però non fanno notizia.
Si direbbe un ottimista.
Si. Anche se essere ottimista non significa essere ciechi e sordi, non vedere le grandi sacche di ingiustizia che ancora permangono. Essere ottimisti in modo razionale significa saper vedere la direzione delle cose umane, senza abbandonarsi alla sfiducia. Conservando, ripeto, la capacità laica di non rassegnarsi all'ingiustizia.
Un modo di vedere che trasferisce ai suoi personaggi letterari?
Mi piace raccontare personaggi capaci di indignarsi, comprendere, sentire. E mi fa piacere se in molti si riconoscono in quella dimensione umana.
I suoi personaggi prendono spunto dalla realtà?
Non necessariamente, anche se il mio ultimo romanzo, L'estate fredda, è, fra quelli che ho scritto, il più ricco di riferimenti a fatti realmente accaduti e personaggi realmente esistiti. Tutto naturalmente è poi rielaborato nella forma della finzione letteraria.
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