Cocullo, il rito dei serpari alle radici dell’Abruzzo / VIDEO

In migliaia alla festa di San Domenico Abate candidata al riconoscimento Unesco. Il sindaco: abbiamo creato una rete di paesi della devozione in quattro regioni

COCULLO. A Cocullo  la festa di San Domenico Abate ed il rito dei serpari. I Un rito antichissimo (si ripete da oltre 350 anni), che come di consueto ha richiamato nel piccolo centro della Valle Peligna, in una mattinata piena di eventi e suggestioni, decine di migliaia di persone.

GUARDA IL VIDEO di Claudio Lattanzio

In migliaia al rito dei serpari a Cocullo
Grande affluenza come di consueto in occasione della festa di San Domenico. Ecco come è andata (video di Giampiero Lattanzio)

Nell’epoca di Internet e dei social ci si chiede ancora che cosa spinga tanta gente, turisti, pellegrini, fedeli e curiosi, a esserci. La fede innanzitutto, che muove le confraternite provenienti dai paesi più lontani, dalla Ciociaria (la tomba di San Domenico Abate è a Sora), dal Molise, dall’Umbria e dall’Abruzzo tutto. E poi la curiosità del contatto con il serpente, animale per molti repellente, ma a Cocullo, in una mattinata, docile, disponibile per foto, compagno di un attimo per turisti e visitatori che anelano a tornare alla vita normale di ogni giorno con l’immancabile selfie con il serpente a tracolla o nelle mani. E poi le “credenze”, dal ruolo terapeutico del tiro della campanella con i denti, dalla terra benedetta del pavimento del santuario, fino alla vestizione della statua con i serpenti prima della processione.

 

leggi anche: Otto treni per il rito dei serpari  Previste corse straordinarie per poter assistere all’evento conosciuto in tutto il mondo

Lì la folla, pigiata nella piccola piazza all’inverosimile, ha atteso con ansia il momento culminante. Se la serpe copre l’occhio di San Domenico Abate, allora ci sarebbero sciagure imminenti. Se la statua continua a guardare la folla con l’occhio sgombro ecco che dalla piazza si leva l’applauso liberatorio. Tutto questo concentrato nell’arco di tre o quattro ore. Suggestioni e fede, quindi, che si ripetono senza contaminazioni da secoli.


E’ questo che ha spinto la comunità di Cocullo e quella degli antropologi ispirati dalla lezione di Alfonso Di Nola a dare all’evento contenuti in grado di “destagionalizzare” la sua valenza culturale e turistica. Innanzitutto la costituzione di un Centro di documentazione per le tradizioni popolari, ove convergono tutto l’anno studenti e studiosi per confrontarsi con la devozione e il mistero del Rito. Nel Centro ci sono una mostra multimediale ed un archivio, con documenti su tutto il mondo della cultura popolare del centro Italia.
Questa complessità di contenuti è alla base della candidatura della Festa cocullese a Patrimonio immateriale dell’umanità da parte dell’Unesco. Il dossier, redatto dagli antropologi Valentina Zingari, Lia Giancristofaro e Omerita Ranalli è ora al vaglio del Mibact e della Commissione Italiana Unesco. Nel dossier ci sono tutti gli elementi del Rito, compreso il progetto di tutela della specie, redatto dagli erpetologi Gianpaolo Montinaro ed Ernesto Filippi. Un passaggio fondamentale per sfatare la diceria secondo la quale i serpenti, specie protetta, sarebbero trattati male dai serpari.


«A Cocullo», spiega il sindaco Sandro Chiocchio, «c’è compenetrazione e affetto tra serparo e serpente, per cui dopo la festa ed il rito il serpente viene riportato dove è stato catturato, con tutta l’attenzione dovuta».
Il Rito rappresenta uno sforzo organizzativo enorme per una piccola comunità, quella cocullese, di 250 anime. Uno sforzo a cui si sono aggiunti, da quest’anno, gli obblighi previsti dalla circolare Gabrielli in termini di sicurezza. Il tutto gestito da un gruppo (amministrazione comunale, pro loco, comunità parrocchiale, Associazione Alfonso Di Nola) di non più di 15 persone. Se venisse meno l’impegno di questa “piccola comunità” il Rito sarebbe a rischio, così come i tanti riti di tanti paesi dell’Appennino martoriati dallo spopolamento.
«Ecco perché», aggiunge il sindaco di Cocullo, «abbiamo creato intorno alla festa e alla candidatura Unesco una rete di paesi della devozione che raccoglie comuni di quattro regioni. L’unione fa la forza, perché la devozione a San Domenico ci unisce».
II rito e la festa di San Domenico non mobilita solo visitatori abruzzesi o dei paesi della devozione. Al Comune ed alle piccole strutture ricettive del territorio sono giunte prenotazioni di gruppi e troupe televisive di ogni dove, anche dall’estero per essere presenti. Una grande comunità di un giorno, quindi, che proietta l’Abruzzo e la sua cultura popolare, in ogni dove.
«Ma non è l’Abruzzo misterioso ed arretrato», spiegano gli antropologi, «ma quello che conservando le proprie tradizioni riesce a proiettarsi verso l’avvenire, facendo di questi giacimenti culturali una delle ragioni più attrattive per visitare la regione».
©RIPRODUZIONE RISERVATA