Eno-teatro tra le note jazz, quando il vino è racconto

foto di Donatella Mancini
L’iniziativa dell’azienda Ciavolich di Miglianico tra buona musica, degustazioni e storia: «Mio padre mi ha trasmesso l’amore per l’azienda e per questo territorio»
MIGLIANICO. Centro storico di Miglianico. Ore 20. È una tiepida notte d’autunno. La luna piena illumina un paese desertico. A suggerire che la vita qui ancora scorre è solo una fiamma all’ingresso di un vecchio fondaco. Avvicinandosi all’uscio, un pianoforte e un sax suonano i brani di Duke Ellington e Freddie Keppard. Affisso sull’entrata: “casa Ciavolich”. L’Abruzzo, le note del jazz di New Orleans e un nome di origine balcanica: a legare insieme questi elementi che sembrano così lontani c’è la storia di una famiglia che attraversa chilometri, secoli e generazioni. E che in Miglianico ha il tempio della sua memoria.
Il fondaco è la prima tappa di questo viaggio nella storia. «Un tempo veniva lasciato il mosto che scendeva dalle botti fino alle tinelle di fermentazione», spiega Chiara Ciavolich. Sorridente e alla mano, è la nobiltà che si fa pop. A 25 anni ha preso in mano l’attività familiare di produzione vitivinicola e ha fatto del vecchio magazzino un luogo speciale. Travi in legno, si sviluppa su due piani ma non ospita più di 50 persone. Insomma, un locale grande ma intimo, che il giovedì diventa “flaneur”, citando il bighellonare senza meta di Baudelaire nella sua Parigi ottocentesca. Sono eventi in cui «non c’è nulla di urlato, ma ci si perde fuori dal tempo, bevendo un bicchiere di vino accompagnato da musica jazz”, racconta Chiara.
A suonare, infatti, ci sono due maestri abruzzesi del genere: William Di Mauro al piano e Carmine Ianieri al sax. A chi chiede se sia possibile visitare i suoi vigneti, Chiara spiega: «Tutta la sua produzione è stata spostata a Loreto Aprutino poco dopo essere entrata in gestione dell’azienda». Poi aggiunge, sorridendo: «Qualcosa da vedere, però, c’è». E allora prende per mano una manciata di ospiti, sottraendoli per qualche minuto alla musica di Ianieri e Di Mauro (che ora rielaborano in chiave jazz e meno tango l’intramontabile “Besame mucho”) e li accompagna fuori dal fondaco. Di fronte c’è un vecchio palazzo coperto da impalcature («la vecchia residenza familiare», spiega lei). Lì accanto, una piccola porta che apre su una cantina. È la seconda stanza del museo. Qui si trovano i cimeli che ricostruiscono una storia lunga 5 secoli.
Il primo capitolo è scritto nell’albero genealogico dei Ciavolich, che arriva fino al 1914. Nata come famiglia dedita al commercio di lana in Bulgaria, nel ‘500 è costretta a scappare dal Paese a causa dell’arrivo dei turchi. Da lì inizia un viaggio che porta i Ciavolich fino all’Abruzzo, e più precisamente a Isola del Gran Sasso, dove trovano le condizioni ottimali (il freddo) per continuare il loro commercio di lana. Da lì a Miglianico il passo è breve; è più lungo, invece, il passaggio a proprietari terrieri, che avviene nel corso del ‘700. La lana, però, rimane una questione di famiglia. Chiedere a Gioacchino Murat, il generale di Napoleone Bonaparte «che si rivolse proprio a noi per ottenere i tessuti per il suo esercito», racconta Chiara. E la cantina? Chiara sorride e risponde: «Venite con me».
Si percorre un corridoio per entrare in un’altra sala. Qui il soffitto è alto e ci sono due grandi botti in legno, ora adibiti a camerini. La storia prosegue: «Durante la seconda guerra mondiale Miglianico fu occupata dai tedeschi, perché la Linea Gustav passava qui vicino. I soldati tedeschi occuparono il nostro palazzo. Erano ragazzi che appartenevano all’esercito, non alle SS. Ci permisero di sfollare qui, in questa cantina, dove la mia famiglia rimase per mesi». Una convivenza quasi pacifica, al punto che «mio padre raccontava che, quando ascoltavano radio Londra – un atto molto pericoloso ai tempi dell’occupazione – i soldati tedeschi si nascondevano a origliare. Erano soltanto dei ragazzini». Quando, però, arrivarono le SS, «ci cacciarono tutti». E tra i protagonisti dell’esodo c’è proprio papà Giuseppe, all’epoca 15enne, costretto a scappare nelle Marche per poi tornare in Abruzzo soltanto dopo la liberazione del Paese.
Chiara si commuove nel raccontare la storia di questo papà costretto a diventare grande molto prima del previsto, amante di Miglianico e della sua vigna. «Il giorno in cui mio padre fu cacciato da qui fu anche l’ultimo di vinificazione in questa cantina sotterranea». L’amore per la terra, però, non ha mai smesso di pulsare nel cuore di Giuseppe, che negli anni ’60 ha ripreso la produzione a Loreto Aprutino. Quella passione oggi rivive in Chiara che, appena entrata in possesso dell’azienda, ha deciso di celebrare il legame tra i Ciavolich e Miglianico con un’apposita linea di vini: la “Fosso cancelli”, composta da Pecorino, Cerasuolo e Montepulciano. «Tre vini identitari della nostra storia», spiega, «che vi vogliamo far assaggiare ma prima raccontare. Non, però, dal punto di vista tecnico: vogliamo parlarvi del loro carattere». «Toc-toc»: Chiara bussa alla botte-camerino. E qui inizia un nuovo genere di degustazione: l’eno-teatro.
Tre attori interpretano rispettivamente il Pecorino («arrogante e senza paura»), il Cerasuolo (una donna «che racconta le sue verità») e il Montepulciano (un nobile «con le scarpe sporche di fango»). Sono loro ad accompagnare l’assaggio dei calici in questa suggestiva cantina sotterranea. Quando lo spettacolo finisce, come in un salto dal passato al presente, si ritorna al fondaco. I due jazzisti sono ancora lì a esibirsi («ci devono pagare per farci smettere», scherza il pianista), le parole sempre sussurrate. Come mai la scelta di far suonare musica jazz? Chiara risponde, ancora una volta, ricordando il padre: «Me ne sono innamorata in un viaggio che ho fatto con lui a New Orleans. Ero una ragazzina, fu indimenticabile». La lana, il vino, New Orleans, l’Abruzzo e la Bulgaria: la storia secolare di una famiglia si condensa e vive in questo ex magazzino di Miglianico. E si racconta anche in quest’ultima nota di sax di “Body and soul”, un fantastico brano di Coleman Hawkins che accompagna i clienti all’uscita e rassicura: «Alla prossima».
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