Fiore mio, nelle sale d’Abruzzo il debutto di Cognetti regista

Il film del premio Strega con “Le otto montagne” evento speciale per tre giorni È il racconto di un viaggio in quota sul Monte Rosa tra i ghiacciai destinati a sparire
PESCARA. «La gente a Milano pensa che il Rosa si chiami così per il colore che prende al tramonto, non sanno che vuol dire ghiacciaio» nota il premio Strega Paolo Cognetti in “Fiore mio”, il film dedicato alla “sua” montagna, che ha scritto e diretto e che esce in 210 sale italiane come evento speciale con Nexo Digital da oggi a mercoledì 27 novembre e che sarà proposto anche nei cinema abruzzesi: per ora si sa che sarà proiettato all’Uci Megalò di Chieti, al The Space di Montesilvano e ancora alle porte di Pescara, all’Arca di Spoltore.
Dopo il successo del libro, appunto vincitore nel 2017 del più prestigioso premio letterario italiano, e del film “Le otto montagne” diretto da Felix Van Groeningen, il nuovo racconto nella natura di Cognetti (Milano, 27 gennaio 1978), accompagnato dalla fotografia di Ruben Impens e dalle musiche originali di Vasco Brondi, inizia nell'estate del 2022, quando l’Italia viene prosciugata dalla siccità. Lo scrittore assiste per la prima volta all’esaurimento della sorgente della sua casa a Estoul, borgo a 1.700 metri di quota che sovrasta la vallata di Brusson. Questo avvenimento lo «sconvolge profondamente» e decide di voler raccontare la bellezza delle sue montagne, dei paesaggi e dei ghiacciai destinati a sparire o mutare per sempre a causa del cambiamento climatico. Racconta così la sua montagna sulla falsariga di “Le 36 vedute del monte Fuji” di Hokusai, opera in cui l’artista giapponese ritrasse il Fuji cambiando continuamente i punti di vista e raccontando la vita che scorre a vari livelli: sui suoi fianchi, nelle valli sottostanti, sulla vetta ma anche nelle città più vicine da dove ancora è visibile, lontano, oltre la nebbia dell’inquinamento, il profilo maestoso della montagna. Cognetti decide di andare alla fonte. Un viaggio che ha per tappa tre rifugi, dai 2.625 ai 3.600 metri di quota, e come compagni di strada amici, maestri e l'inseparabile cane Laki.
«Io non ho mai voluto un cane, ma un mio amico della montagna», ha raccontato Cognetti, presentando il film a Milano con Brondi, «aveva preso Laki per guardare le mucche. A Laki, però, non interessava questo lavoro, piuttosto mi seguiva. Da 12 anni ormai viviamo insieme. Lui è il mio maestro zen: mi ha insegnato il silenzio, la semplicità, l’onestà. È anche il mio maestro di sentiero: con lui sono arrivato fino a 4000 metri».
Nonostante il profondo legame con cime e ghiacciai, «non sono mai andato a vivere in montagna, ma ci passo», aveva raccontato lo scrittore «solo dei periodi all’anno, a volte lunghi anche sei mesi. Ci sono stati dei periodi in cui sognavo di diventare un montanaro, ma sono un milanese che ama la montagna». E uno scrittore che ama il cinema, anche perché «ho fatto la scuola di cinema quando avevo 20 anni qui a Milano, ma poi», aveva ricordato ancora sorridendo «ho litigato con il cinema e mi sono dedicato alla letteratura. Il bello della letteratura è che non bisogna avere tanti finanziamenti per farla. L’esperienza di “Le otto montagne” è stata un'avventura emozionante, che mi ha spinto a voler riprovare ancora con il cinema».
Per farlo, ha voluto al suo fianco un amico come il cantautore Vasco Brondi: «Non avevo mai accettato di fare musiche per altri film prima, ma in questo caso», aveva spiegato all’anteprima milanese il musicista «ho accettato perché si trattava di creare musica per posti che mi interessavano e che conoscevo bene. I riferimenti musicali di me e Paolo erano gli stessi e molto alti, perché a volte bisogna puntare in alto per raggiungere dei grandi risultati. Abbiamo cercato di fare parlare gli elementi della montagna. Uno dei protagonisti del film è il ghiacciaio, che fonde. Immagini e musiche non dovevano avere troppe parole dentro, perché il ghiacciaio comunica già da solo». Nel suo viaggio sul Monte Rosa Cognetti non è solo. Con lui ci sono il direttore della fotografia Ruben Impens, conosciuto sul set di “Le otto montagne” e le persone incontrate durante questo viaggio. Come l’amico di una vita Remigio, nato e cresciuto in Val d’Ayas, di cui conosce ogni luogo e custodisce la memoria. Ci sono Arturo Squinobal, una vita dedicata alle montagne e un volto che ne ricorda le tracce, e sua figlia Marta, che Paolo conosce dall’infanzia e che ha trasformato l’Orestes Huette nel primo e unico rifugio vegano delle Alpi. E ci sono Corinne e Mia, donne dei rifugi che accolgono i viandanti con il sorriso caloroso e rilassato di chi ama ciò che fa. C’è il silenzioso eppure tagliente Sete, sherpa d'alta quota che ha scalato tre Ottomila – Everest, Manaslu e Daulaghiri – e si divide tra Italia e Nepal.