«L’Aquila mi ha insegnato l’arte del cinema e a resistere» 

Il regista andaluso premio David di Donatello per gli effetti visivi con Salvatores incontra il pubblico della mostra a lui dedicata: «Vivo qui e lavoro nel mondo»

L’AQUILA. Ha senso parlare di smart working d’emergenza con uno come Victor Pérez? Regista, attore, storyteller, artista degli effetti visivi, da anni ha fatto dell’Aquila, la sua città di adozione, la base per elaborare le sue produzioni, da sviluppare poi in sinergia con partner che lavorano in contemporanea da più Paesi nel mondo.
Una condizione, di fatto, legata più che altro alla velocità della fibra ottica e alle dinamiche del cloud computing. Infatti, gli ultimi mesi, quarantena compresa, sono stati particolarmente produttivi per il 39enne andaluso vincitore lo scorso anno del David di Donatello per gli effetti visivi del film “Il ragazzo invisibile – Seconda generazione” di Gabriele Salvatores. Un riconoscimento che verrà esposto domani venerdì 21 agosto alle dalle ore 11, dallo stesso Pérez nell’ambito di un incontro pubblico all’interno della mostra a lui dedicata, dal titolo “I mondi di Victor Pérez” allestita al primo piano del palazzo delle Poste, lungo Corso Vittorio Emanuele II.
Un'iniziativa realizzata dall'Istituto cinematografico dell'Aquila “La Lanterna Magica” con i fondi Restart. La statuetta del David resterà in esposizione sino a domenica 30 agosto, mentre la mostra (già aperta da qualche giorno con orari 18 - 23.30 e ingresso libero) chiuderà sette giorni più tardi, il 6 settembre. La carriera di Pérez è tutta un omaggio al coraggio di chi resta a lavorare in una terra che ancora fa i conti con le ferite del sisma. La sua dedica all’Aquila durante la cerimonia di premiazione del David, a ridosso dei giorni del decennale del sisma, è stata tutt’altro che retorica.
«Ero in città quella notte e ho visto la mia casa crollare. Sono rimasto con solo un pigiama per due settimane, ma quando non hai più niente da perdere capisci chi sei e cosa vuoi», ha detto più volte. Originario di Lucena, in Andalusia – non molto lontano da Cordova – ha iniziato ad appassionarsi alla fotografia all’età di sei anni. Si è poi dedicato alla “computer graphics” e ha iniziato a studiare da attore, ispirato da autori come Federico García Lorca e opere come Así que pasen cinco años – Aspettiamo 5 anni. La poetica del granadino è stata per lui la porta del surrealismo. Il debutto di Pérez sul grande schermo è arrivato con El camino de los ingleses di Antonio Banderas del 2006. Proprio l’amore per il teatro lo ha spinto poi in Italia, a Reggio Emilia inizialmente. Lì ha conosciuto la sua futura moglie, Maria Chiara Ranieri, insegnante dell’Aquila che oggi gestisce il management e le relazioni pubbliche delle sue produzioni. Di lì a qualche tempo la scelta di dare una svolta alla carriera e iscriversi all’Accademia dell’Immagine, fondata nel 1992 in collaborazione con l’ateneo del capoluogo.
Che ricordi ha di quegli anni?
È stato per me uno dei periodi più intensi della mia carriera e, sicuramente, uno dei più belli della mia vita. In Accademia ho studiato il linguaggio cinematografico a 360°, mettendo a confronto varie tecniche e vari stili. Ho lavorato a stretto contatto con professionisti come i fondatori Gabriele Lucci e Vittorio Storaro, ma anche Stephen Natanson. Poi, il sei aprile 2009 le cose sono precipitate. Avevo quasi finito il biennio formativo e già iniziavo a guardarmi intorno. Quando, invece, nel giro di pochi secondi mi sono ritrovato a perdere casa e bed & breakfast, un’attività che avevamo messo su per sbarcare il lunario. Solo mesi dopo, mentre il Centro sperimentale di cinematografia si stava insediando, ci è stata data la possibilità di completare gli studi.
Come è arrivato a specializzarsi negli effetti visivi?
Mi sono trasferito a Londra, facendo riferimento a realtà come gli Escape studios. Non avevo molte sterline in tasca, e l’inizio non è stato facile, però ho iniziato a lavorare con Danny Boyle e ho fatto qualche lavoro sul set di Harry Potter. Da quel momento in poi, ho collaborato a moltissimi film, anche titoli importanti come Rogue One, spin off di Star Wars, ma anche Pirati dei Caraibi – Oltre i confini del mare, passando per Il Cavaliere oscuro di Christopher Nolan. Circa 6 mesi di lavoro per realizzare qualcosa come 20 secondi. Poi è arrivato Salvatores. Se il cinema conosce dei momenti di difficoltà dovuti al Covid, nella produzione e nella distribuzione, realtà come Netflix continuano a chiedermi numerose collaborazioni. Per questo il periodo di lockdown l’ho passato a lavorare intensamente.
Ma il suo lavoro è anche quello di raccontare storie. Come si vede sulla sedia da regista?
Dopo Echo e Another Love, i miei due corti ambientati e girati per gran parte in Abruzzo, sto lavorando da 7 anni al mio primo lungometraggio. È stato lo stesso Salvatores a incoraggiarmi a portare avanti una mia storia. Sono obbligato a mantenere il riserbo sulla produzione americana, ma posso già dire che lavorerò con dei nomi importanti del cinema internazionale. Sono impegnato nella coproduzione e firmo la sceneggiatura insieme a Daniel Calvisi, originario di Poggio Picenze. Il film, dallo stile cyberpunk, renderà giustizia a un altro dei miei mondi, quello della musica classica.
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