TRA I RICORDI NEL FOLTO DEL BIANCO
Oggi nella trama ferrigna del setaccio (o del crivello) è rimasto impigliato un seme di mela. Fa parte di un’infanzia a tutto tondo, nella quale i meli erano alberi privilegiati non tanto per i loro...
Oggi nella trama ferrigna del setaccio (o del crivello) è rimasto impigliato un seme di mela. Fa parte di un’infanzia a tutto tondo, nella quale i meli erano alberi privilegiati non tanto per i loro frutti ma perché sono alberi bassi, a portata di gambe e di mano, su cui realizzare improvvisate altalene.
Tante sono le varietà di mele come i colori; ma io ricordo il profumo di casa di nonna, dove le mele e le pere venivano messe all’inizio dell’autunno, in un angolo del pavimento di mattoni rossi, adagiate sulla paglia, a maturare lentamente. Il profumo dei frutti riempiva la casa della nonna, come nelle favole. Allo stesso modo riempiva la cucina il profumo delle mele cotte contro il raffreddore o il mal di gola.
Tom Brown, originario della California del Nord, soprannominato il Cacciatore di mele, è andato alla ricerca dei semi più rari in tutta l’America, persino tra gli indiani Cherockee. Sono stata anch’io, nel mio piccolo, una cacciatrice di mele abruzzesi, anzi marsicane ed ho un catalogo preciso di colori e sapori nella mia memoria. C’era e c’è ancora un melo (anzi una mela, perché l’albero è un sostantivo femminile nel mio dialetto) piantato in mezzo agli orti, quasi come un nume tutelare. Mele che non diventavano rosse o gialle, addentate verdi, ancora in crescita sugli alberi. Un succo asprigno dissetante, amaro come è dolce e amara l’infanzia. Ero anch’io una bambina dalle ginocchia perennemente sbucciate. Dà ancora mele tonde e verdi, a forma di cuore, il melo che mio padre ha piantato pochi anni prima di morire, lassù nel mio paese, tra le montagne. D’ estate, quando posso stare qualche giorno nel mio Eden, ne faccio provvista; diventano marmellate da riportare qui al mare, in una transumanza di odori e sapori. Basta stappare un vasetto ed eccolo lì, il profumo: agrodolce, intenso, confinato tra le pagine dell’infanzia, sopravvissuto in un angolo della memoria. Insieme al colore delle mie guance rosse, sbiadite dal tempo, dal vento e dal sole.
Tante sono le varietà di mele come i colori; ma io ricordo il profumo di casa di nonna, dove le mele e le pere venivano messe all’inizio dell’autunno, in un angolo del pavimento di mattoni rossi, adagiate sulla paglia, a maturare lentamente. Il profumo dei frutti riempiva la casa della nonna, come nelle favole. Allo stesso modo riempiva la cucina il profumo delle mele cotte contro il raffreddore o il mal di gola.
Tom Brown, originario della California del Nord, soprannominato il Cacciatore di mele, è andato alla ricerca dei semi più rari in tutta l’America, persino tra gli indiani Cherockee. Sono stata anch’io, nel mio piccolo, una cacciatrice di mele abruzzesi, anzi marsicane ed ho un catalogo preciso di colori e sapori nella mia memoria. C’era e c’è ancora un melo (anzi una mela, perché l’albero è un sostantivo femminile nel mio dialetto) piantato in mezzo agli orti, quasi come un nume tutelare. Mele che non diventavano rosse o gialle, addentate verdi, ancora in crescita sugli alberi. Un succo asprigno dissetante, amaro come è dolce e amara l’infanzia. Ero anch’io una bambina dalle ginocchia perennemente sbucciate. Dà ancora mele tonde e verdi, a forma di cuore, il melo che mio padre ha piantato pochi anni prima di morire, lassù nel mio paese, tra le montagne. D’ estate, quando posso stare qualche giorno nel mio Eden, ne faccio provvista; diventano marmellate da riportare qui al mare, in una transumanza di odori e sapori. Basta stappare un vasetto ed eccolo lì, il profumo: agrodolce, intenso, confinato tra le pagine dell’infanzia, sopravvissuto in un angolo della memoria. Insieme al colore delle mie guance rosse, sbiadite dal tempo, dal vento e dal sole.