Addio allo struscio comanda facebook

15 Febbraio 2013

L’antropologo Di Renzo: «Ecco come cambiano i luoghi di aggregazione e cosa serve per adottare un’alimentazione più salutare ed equilibrata»

AVEZZANO. Lo struscioe le abitudini alimentari virtuose. Con Ernesto Di Renzo, antropologo di 48 anni, coordinatore del master universitario in Cultura alimentare e delle tradizioni enogastronomiche all’Università Tor Vergata di Roma, si è parlato delle nuove frontiere dell’aggregazione.

Lei circa vent'anni fa ha scritto un libro sullo "struscio" avezzanese, pensa che quest'abitudine si sia modificata oggi?

«Sì, in parte si è modifcata come in tutta Italia. Partiamo da un assunto: lo struscio, il passeggiare in piazza è un fenomeno riscontrato da Aosta a Trapani, caratteristico dei centri di provincia, che hanno un luogo principale di aggregazione in cui tutti convergono per il passeggio. Non è una perdita di tempo, è piuttosto una pratica di socializzazione attraverso la quale i giovani entrano in contatto tra di loro, comunicano al di là della loro consapevolezza.

L’antropologia si diverte a spiegare tutti gli aspetti del nostro comportamento che sfuggono alla consapevolezza e appartengono alla quotidianità. Le ragioni sono tante. Oggi si pratica ancora lo struscio, anche se con modalità diverse rispetto a qualche anno fa. Sono subentrati fattori che hanno condizionato la pratica della socializzazione. Sono avezzanese e ho vissuto fino agli anni Novanta nella mia città. Ho presentato il libro “Lo struscio e le sue rappresentazioni” come tesi di specializzazione in Francia. Soprattutto al nord le abitudini sono diverse perché per esempio fa freddo e non c’è la cultura della cosiddetta “agorà”. La piazza è un luogo di socializzazione, di rappresentazione del sé, ossia l’immagine che noi desideriamo dare agli altri».

Secondo lei sono cambiati i luoghi più frequentati dai ragazzi di Avezzano? È diversa la maniera in cui i ragazzi si relazionano tra loro?

«I luoghi sono diversi, è una delle cause per le quali lo struscio è cambiato. È cambiata la città, che si è aperta, è esplosa, si è espansa. Fino agli anni Novanta era una città monocentrica e la piazza era il luogo in cui confluivano tutte le forze. Poi la città ha avuto un forte incremento demografico e anche l’urbanistica è cambiata. Si sono creati luoghi di incontro concorrenziali con il passeggio».

I n che misura i social network hanno cambiato la comunicazione tra i ragazzi?

«Molto, ma non solo tra i giovani, anche tra gli adulti. Hanno contribuito alla virtualizzazione dei rapporti, nel senso che tutto quello che prima avveniva in una dimensione di contatto diretto, si è trasferito sul piano delle virtualità. L’avvento dei social network ha contribuito all’affievolimento dello struscio e ha creato spazi diversi rispetto a quelli reali della piazza».

Secondo lei la piazza è ancora il luogo più frequentato?

«È ancora un luogo molto frequentato ma non come in passato, anche per altri fattori. Nella frequentazione hanno inciso dei fenomeni di tendenza come gli happy hours, modi di comportamento giovanile legati all’aggregazione. Ecco, fenomeni come questi hanno delocalizzato i giovani, attirandoli nei bar. È vero che la frequenza giovanile registra livelli numerici e tempi della aggregazione significativamente più bassi. Piazza Risorgimento è cambiata. Il luogo dell’aggregazione deve avere una centralità simbolica e piazza Torlonia, per esempio, non l’ha mai avuta. Piazza Risorgimento oggi non ha più quel ruolo. Negozi e vetrine erano elementi attrattori. I centri commerciali e gli spazi di quartiere, che si sono rianimati, tornano a essere delle polarità».

Quali i lati positivi dei social network e quali quelli negativi?

«Conta l’uso che se ne fa. Oggi facebook e twitter possono essere dei momenti di solipsismo, in cui la persona è sola con se stessa e si potrebbe favorire la deriva narcisistica. Di positivo c’è la capacità delle persone di interagire a prescindere dal meteo. La piazza crea una sociabilità a spazi finiti. Contano i gruppi. I social hanno riscritto le regole e facilitato l’instaurarsi di relazioni e amicizie. Non danno luogo, però, a forme di empatia. Un rischio è che tu puoi barare. Le regole? L’interazione diretta consente meno escamotage. La piazza era il luogo in cui, attraverso un’attenzione al maquillage, avveniva l’esaltazione dello sguardo. Si comunicava l’immagine di te che volevi venisse recepita. Sui social puoi mettere foto anche ritoccate, c’è un maggiore margine di costruzione dell’immagine senza confronto dialettico con l’altro».

Negli ultimi anni, sono state promosse molte campagne per sensibilizzare i ragazzi all'educazione alimentare, secondo lei sono diventati dei consumatori responsabili?

«A parità di età il modo di mangiare dei giovani di Avezzano è diverso rispetto a quello di altri piccoli centri o metropoli. Si riscontra, soprattutto nel mondo rurale, la mentalità da fast food che fa scattare meccanismi di identificazione con la grande città. Nei giovani il fenomeno è ancora molto limitato perché lo è anche negli adulti. Non mi aspetterei che mangino la coratella e le animelle. Mangiare sostenibile, anche in maniera eticamente corretta, richiede tutta una serie di cose con priorità all’insegnamento degli adulti».

Come comunicare con i giovani?

«È più facile modificare i modelli comportamentali dei giovani, che sono più sensibili rispetto agli adulti e possono capire come il mangiare biologico, locale, sostenibile equivalga a contribuire al benessere del pianeta e della propria salute. Il messaggio dovrebbe far comprendere i rischi del mangiare male e i vantaggi del mangiar bene. L’hamburger, per esempio, ha un impatto sull’ambiente dannoso. Per un chilo di carne bovina servono 15.500 litri di acqua, mentre per produrre un frutto come una mela ne bastano 70 e impatta notevolmente di meno sul pianeta. Il business alimentare ci impone cosa mangiare, la legge del profitto ha i suoi effetti collaterali. Voi giovani dovete decidere cosa mangiare e preferire cibi sani, locali, di stagione, biologici. Bisognerebbe rendere “fighi” questi comportamenti in modo da trasformarli in esempi positivi. Un consiglio: occhio ai distributori di merendine e bevande gassate che si trovano a scuola: sono una trappola».

Giada Giffi

Antonio Rauccio

Federico Grassi

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