L'AQUILA

Blitz contro le cosche del Vibonese

L'operazione di polizia ha riguardato anche la provincia aquilana

L'AQUILA. L'Aquila è tra le dodici province  in cui la polizia è impegnata per smantellare un’organizzazione mafiosa riconducibile alla 'ndrangheta vibonese. 

Le misure cautelari sono complessivamente 56  (40 in carcere e 16 agli arresti domiciliari). Sequestro preventivo di beni del valore di 250 milioni di euro.

Gli indagati sono accusati a vario titolo di associazione per delinquere di stampo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, porto e detenzione illegale di armi, sequestro di persona, trasferimento fraudolento di valori, illecita concorrenza con violenza e minaccia e traffico di influenze illecite, aggravati dal metodo e dall’agevolazione mafiosa, corruzione, rivelazione di segreto d’ufficio e associazione per delinquere finalizzata alla ricettazione ed al riciclaggio di macchine agricole, aggravate dalla transnazionalità e dall’agevolazione mafiosa.

Maggiori informazioni  nella conferenza stampa prevista alle ore 11 della procura della Repubblica Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro alla presenza del procuratore capo Nicola Gratteri e del direttore centrale anticrimine Francesco Messina.  L'operazione ha in particolare riguardato le province di Vibo Valentia, Catanzaro, Reggio Calabria, Palermo, Avellino, Benevento, Parma, Milano, Cuneo, L’Aquila, Spoleto e Civitavecchia. Secondo la Procura ha consentito di smantellare «un’agguerrita consorteria mafiosa riconducibile al crimine di 'ndrangheta vibonese, da almeno quattro anni costantemente impegnata nella massiva consumazione di diversi delitti con il conseguente inquinamento dell’economia locale, finendo cosi con il condizionare la libertà economica e commerciale dell’intero tessuto sociale del litorale e delle aree prossime alla rinomata località turistica di Tropea. L'enorme ammontare (250 milioni di euro) del valore dei beni sottoposti a sequestro preventivo con provvedimento emesso su richiesta della DDA di Catanzaro) perché riconducibili alle attività illecite dell’associazione mafiosa, conferma la potenza economica di una cosca di 'ndrangheta finalmente colpita - in adesione a una strategia di contrasto realmente efficace e incisiva perseguita dalla Direzione centrale anticrimine della polizia negli ultimi anni - anche nei suoi interessi economici oltre che militari».

Il direttore Messina evidenzia che «colpiscono, a fronte della consistente attività estorsiva consumata dalla struttura mafiosa disarticolata nei confronti di numerosissime imprese locali, sia la totale assenza di denunce all'Autorità Giudiziaria, di fatto costituente una cessione di libertà economica da parte degli estorti nei confronti degli estorsori, che l'azione facilitativa ad opera di pubblici funzionari coinvolti nelle indagini in quanto prossimi all'organizzazione investigata». 

Uno dei 56 indagati è già rinchiuso nel carcere dell'Aquila.