Centro storico in fiamme devastate le sedi dei partiti 

Gli amministratori provinciali e comunali rassegnano tutti le dimissioni Sassaiole contro i celerini, barricate e blocchi stradali anche nelle frazioni

L’AQUILA. La notte fra il 26 e 27 febbraio del 1971 fu forse una delle più lunghe che la città ricordi dal secondo Dopoguerra (6 aprile 2009 a parte). Una piccola premessa per inquadrare la situazione. I “moti” dell’Aquila vanno temporalmente compresi fra le 2.30 della notte di sabato 27 febbraio e il pomeriggio di lunedì primo marzo quando la tensione cominciò a calare tanto che martedì fu annunciata la riapertura delle scuole.
LA CRONACA. La prima cronaca a caldo di ciò che avvenne il sabato la fornisce L’Aquilasette, il settimanale che usciva di norma il giovedì ma che quel giorno decise di fare un’edizione straordinaria diffusa in città nella tarda mattinata quando tutto il centro storico era già in “fiamme”. Maria Pia Renzetti riuscì a scrivere a caldo un pezzo che è una preziosa testimonianza su ciò che accadde in quelle ore. Gli aquilani che avevano assistito al consiglio regionale e che apprendono del voto che “penalizza” L’Aquila non andarono a dormire. Molti si avviarono verso piazza Duomo e in base al racconto di monsignor Giuseppe Molinari (oggi 83enne, e che sarà arcivescovo dell’Aquila dal giugno 1998 al luglio 2013) qualcuno chiese a lui, giovane prete, di aprire il palazzo, sede della Diocesi (l’arcivescovo all’epoca era Costantino Stella) per poter andare a suonare le campane del Duomo a cui, racconta la leggenda, si associarono le campane di tutte le chiese del centro storico. Allora non c’erano tantissimi telefoni fissi in giro e tantomeno i social. Le campane svolgevano la funzione che oggi hanno i messaggi whatsapp.
LA GIUNTA COMUNALE LASCIA. «Al campanone del Duomo che scandisce i suoi rintocchi», scrive Renzetti nella sua cronaca, «fanno eco le campane di tutte le chiese che suonano a martello (era tradizionalmente un segnale di allarme, ndr). I pochi che dormivano si svegliano, accorrono in piazza della Prefettura. Chiedono notizie e alle risposte restano attoniti. Passano così le ultime ore della notte. Di prima mattina vengono assaltate e devastate le sedi della Dc e del Psi. Quella del Pci è protetta da numerosi iscritti che vi si sono asserragliati per respingere i dimostranti tra cui ci sarebbero stati tre feriti. Più tardi però anche i documenti e i drappi del Pci bruciano nel falò. Il Comitato d’azione cittadino è in riunione permanente e cerca di arginare lo scoppio d’ira della popolazione. Sempre in mattinata la giunta comunale (sindaco Tullio de Rubeis –1908-1988– eletto nell’ottobre 1970) e quella provinciale (presidente Francesco Gaudieri – 1918-2007 – già sindaco dell’Aquila ) all’unanimità rassegnano le dimissioni. È l’unico atto di coerenza del mondo politico locale. Un gesto che dimostra la comunione tra amministratori e cittadini anche se la cosa potrebbe comportare la rinuncia a un’azione politica incisiva che gli amministratori in carica avrebbero potuto portare avanti. Ma i componenti delle due giunte avevano ben valutato le conseguenze delle loro dimissioni proprio in virtù di tali considerazioni: evidentemente se hanno preso questa decisione non ne avevano altre. Nella città paralizzata dallo sciopero generale, la popolazione per le strade commenta vivacemente i fatti di questa notte e domanda chiarimenti. Qualcuno addirittura chiede conferma su quanto accaduto la sera prima e non pochi appaiono ancora increduli sulla votazione. Ai Quattro Cantoni in un immenso falò bruciano carte, documenti e drappi con i simboli dei partiti prelevati dalle varie sedi. Si è espresso in questo modo il ripudio della popolazione a quell’ambiente politico dove sono maturati gli accordi e i compromessi che hanno portato alla votazione segreta di ieri in Prefettura. Il sottosegretario agli Interni, onorevole Nello Mariani, ha presieduto questa mattina una riunione di autorità preposte all’ordine pubblico (in questa riunione si decise di far arrivare la celere, ndr). Intanto, mentre in città affluiscono notevoli rinforzi (qui forse ci si riferisce a cittadini che giungono dai dintorni, ndr), esponenti del Comitato d’azione coadiuvati da altre persone di buona volontà si adoperano per non far degenerare la situazione. Questa lunghissima, inumana, battaglia di nervi sferrata all’Aquila non deve dare soddisfazione a chi l’ha voluta. I disordini sono dannosi o quantomeno inutili alla causa per la quale si combatte. Oggi, dopo la votazione, i tempi sono maturi per attaccare sul fronte che già è stato indicato: quella della Costituzione, del Diritto. Oggi come mai è indispensabile conservare la calma nella fermezza e nella decisione: perdere una battaglia non significa aver perduto la guerra».
ARRIVA VICARI. Mentre Maria Pia Renzetti faceva la cronaca della mattinata chiudendo il suo pezzo con un appello alla calma, la situazione in città era già fuori controllo. Nel pomeriggio del 27 febbraio giunse all’Aquila un consistente contingente di celerini guidati dal capo della polizia Angelo Vicari (1908-1991) che rimosse subito il questore Michele Introna, capro espiatorio incolpevole della situazione, lo definirà qualche giorno dopo L’Aquilasette. Sull’Aquilasette del 4 marzo 1971, quando i moti sono ormai finiti, Luigi Marra ripercorre gli avvenimenti e inserisce anche qualche curiosità. La rivolta non coinvolse solo i cittadini dentro le mura ma anche quelli delle frazioni. Barricate e blocchi stradali ci furono sulla statale 17 fino a Bazzano e oltre.
LA CARICA DELLE VACCHE. «In tutte le tragedie», scrive Marra, «spesso c’è la nota divertente. Alle tante cariche in serie effettuate dalla polizia si aggiunge la carica delle vacche. C’è stata riferita nei particolari ma non essendo stati presenti la registriamo come fatto curioso e con tutto il beneficio di inventario. Teatro dell’operazione: la zona di Paganica. Interpreti: le forze di polizia, i dimostranti e… le vacche. Il fatto si sarebbe svolto così: mentre la polizia effettuava una carica su un gruppo di dimostranti questi liberavano alcune vacche invitandole a correre contro i poliziotti. La strada invasa dagli animali non permetteva la prosecuzione della carica e i poliziotti dovevano fare marcia indietro mentre dal canto loro i manifestanti si eclissavano per riprendere altrove le ostilità». TENTATIVI DI PACIFICAZIONE. In quella caldissima giornata di sabato 27 febbraio si tentano approcci fra manifestanti e forze dell’ordine. È sempre L’Aquilasette a riferirne. Fuori Vicari e la celere romana dicono i dimostranti», si legge ancora nella cronaca del settimanale, «siamo disposti a tornare nell’ordine ma in città devono restare solo le forze di polizia di stanza all’Aquila. Potrebbe essere questa la soluzione, ma Vicari non se la sente di correre il rischio di lasciare la città abbandonata a se stessa. D’altra parte è significativo un episodio: un ufficiale dei carabinieri in servizio da molti anni all’Aquila, il capitano Cosimo Muci, durante una fitta sassaiola tra dimostranti e forze di polizia attraversa da solo la linea del fuoco avvicinandosi ai dimostranti. Mille voci si levano: non colpitelo, è un capitano dei carabinieri amico dell’Aquila. Tutti si fermano per permettere al capitano Muci di raggiungere indenne i dimostranti ai quali rivolge calde parole di esortazione ad abbandonare ogni ostilità. Anche a lui la folla risponde: se restate solo voi aquilani (intendendo forze dell’ordine, ndr) noi smetteremo perché non vogliamo colpire i nostri amici ma finché resteranno i reparti romani nessuna pacificazione è possibile». Quando sabato scende la notte il centro storico appare un campo di battaglia in attesa che riprendano le ostilità all’alba del giorno dopo. In tv, da Sanremo, c’era la finale del 21° Festival della canzone italiana. A vincere fu “Il cuore è uno zingaro” cantata da Nada e Nicola Di Bari. La rivelazione di quell’edizione fu Lucio Dalla con “4 marzo 1943”. Per L’Aquila si preparava però un’altra giornata di guerriglia urbana e tensione. (9-continua)
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