Così zona Santo Padre in 20 anni è diventata il centro del mondo

Coppito, un viaggio fra passato e presente nella scuola sede da domani del summit dei Grandi.

L’AQUILA. Più di venti anni fa fui mandato - in una fredda mattina di inizio primavera - dall’allora caposervizio della redazione del Centro dell’Aquila, Giovanna Peru, a raccogliere le proteste di alcuni agricoltori di Coppito ai quali erano stati espropriati i terreni per realizzare la scuola sottufficiali della Guardia di Finanza. Ricordo che mi fu detto: ti aspettano alle 8 in contrada Santo Padre. Arrivato a Coppito dovetti chiedere a più di una persona la direzione verso la quale sarei dovuto andare. Dopo aver percorso una strada sterrata e piena di buche vidi sulla destra una collina in gran parte coltivata a prato ed erbamedica, con un sentiero che la tagliava in due e un gruppo di persone che discuteva in maniera accalorata. Mi avvicinai e capii che il problema non era tanto quello di dire no alla costruzione di quella caserma-scuola, quanto la equità del prezzo a metro quadrato dell’esproprio.

Nelle settimane successive tutto si chiarì e i lavori iniziarono. L’impressione che ebbi allora fu che si stava realizzando una sorta di cattedrale nel deserto (e il nome della zona calzava a pennello). Coppito alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso non aveva avuto ancora lo sviluppo urbanistico così come lo vediamo adesso. Ho ripensato a quel servizio giornalistico ieri mattina tornando nella Scuola della Finanza che per tre giorni, a partire da domani, sarà il centro del mondo. Negli anni sono andato spesso in quella caserma. Quando la costruzione era in corso ricordo la visita al cantiere dell’allora sottosegretario alle Finanze Domenico Susi, l’uomo politico socialista morto qualche anno fa che fu uno dei principali “sponsor” della scuola. Facemmo, con altri colleghi, un giro rapido fra scavi di fondazione, edifici già parzialmente costruiti e l’impressione fu quella della grandiosità di ciò che stava sorgendo.

Poi ci sono state tante altre occasioni, compresa la festa della Guardia di Finanza del giugno del 2007 con la partecipazione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il 9 aprile del 2009 ci sono tornato: in un enorme capannone diventato obitorio ho pianto davanti alle bare dei miei figli e di mio padre. Il 10 aprile ero ai funerali di Stato fra le migliaia di persone che hanno perso gli affetti più cari. E’ amaro pensare che se L’Aquila ha avuto l’occasione di ospitare il vertice dei leader mondiali lo si deve a una tragedia tanto grande. Ma adesso, terremoto permettendo, il G8 c’è. E può essere l’occasione per non farla dimenticare troppo presto, questa tragedia. Ieri per andare nella sede del summit mondiale ho dovuto fare una lunga trafila. Con la macchina non si va da nessuna parte. Tutta la zona intorno a Coppito è blindata.

I giornalisti devono “approdare” prima al centro commerciale L’Aquilone. E’ già lì che, a parte le formalità burocratiche (autorizzazioni e passi), i controlli sono ferrei. Ogni cosa che hai al seguito viene verificata e persino fotografata. Poi si sale su un bus navetta dell’Ama (l’azienda del trasporto pubblico dell’Aquila) e si parte verso la Scuola della Finanza. Ogni aquilano sa che dal centro commerciale alla caserma Vincenzo Giudice in linea d’aria saranno un paio di chilometri o poco più. Ma chi ha organizzato l’evento sa, a sua volta, che la gran parte dei giornalisti non è aquilana e allora è stato predisposto una sorta di giro turistico. Il bus risale verso Sassa sulla statale 17, poi si va a Preturo e infine si torna in direzione Pizzoli-Cermone e da lì sulla statale 80. A Sassa e Cese di Preturo è possibile vedere i cantieri dove si sta realizzando il progetto Case. Il messaggio è chiaro: ecco, vedete come stiamo ricostruendo L’Aquila. I danni del terremoto, su quel percorso non si vedono.

I giornalisti, se vogliono, i danni se li vadano a cercare da soli. Io, per mia sfortuna, ne ho visti e subìti già troppi. Per giungere alla caserma si svolta all’altezza della rotonda allestita nei pressi di San Vittorino. Si supera il ponte sull’Aterno (realizzato in meno di un mese) e poi ecco la lunga striscia di asfalto che porta dritta dritta al grande parcheggio esterno. Inutile dire che ci sono ovunque militari e forze dell’ordine. L’area di sosta è in gran parte occupata dai mezzi delle televisioni di tutto il mondo. Si entra nel Media Village e ci sono altri controlli. Se necessario (cioè se il metal detector rileva la presenza oggetti metallici) si viene anche perquisiti. Tutto nella massima educazione e gentilezza ma senza indulgenze. Dentro ci sono centinaia di persone che si danno da fare.

Si tratta di ultimi ritocchi. Proprio all’ingresso ci sono tre piantine di bosso. Sono state tagliate in modo tale che insieme compongono una immagine: c’è un’aquila, una G e un 8. Solo che i tre “pezzi” sono ancora alla rovescia. Qualcuno stamani li sistemerà. Sul percorso che porta verso il cuore della caserma, laddove si incontreranno i leader, ci sono le foto dei momumenti dell’Aquila distrutti: come erano prima e come sono ora, dopo il sisma. La “mostra” si intitola “L’Aquila non po’ perire”. E’ una frase tratta da un documento medioevale. E’ più o meno lo stesso concetto ribadito domenica notte dalle migliaia di persone che hanno sfilato nel centro storico ferito: L’Aquila non deve morire. Dal G8 si aspettano risposte concrete. Anche per i terremotati aquilani.