Filetto, settant’anni fa la strage nazista

I soldati dell’esercito tedesco il sette giugno 1944 uccisero per rappresaglia 17 persone. Il caso del vescovo Defregger

Siamo alla fine di maggio del 1944, le truppe tedesche dal fronte “Castel di Sangro-Cassino” si stavano ritirando verso il Nord Italia. Nella zona dell’Aquila c’erano diversi distaccamenti militari tedeschi. A Filetto erano arrivati 4 militari e un maresciallo che formavano un piccolo raggruppamento di fanteria. Alloggiavano nell’antico palazzo “Facchinei” in quell’epoca divenuta casa “Ianni e Riccetelli” in via Romana. Lì erano ammassati vettovagliamenti, armi e munizioni e refurtive varie. Il Comando della piccola guarnigione si trovava nella casa di “Mariano Moro” sempre nella medesima strada, dove era installata una radio-trasmittente e una stazione telefonica. I mezzi militari tedeschi stazionavano, mimetizzati in mezzo ai folti olmi, vicino l’aia di sopra, fra il pagliaio di “Capretto e casa Cupillari”, per non essere avvistati dagli aerei alleati. Secondo alcune testimonianze i tedeschi erano stati informati dalle milizie fasciste di Paganica e L’Aquila, che a Filetto c’erano partigiani che si nascondevano nei boschi e nelle grotte. I tedeschi dovevano quindi contrastare le azioni partigiane, arrestare soldati inglesi nascosti dalla stessa popolazione di Filetto e rastrellare il più possibile viveri e derrate alimentari.

La piccola formazione di soldati tedeschi rivendeva merci ai cittadini di Filetto in cambio di prosciutto, salame, formaggio, pane, vino. I tedeschi, sempre secondo i testimoni avevano instaurato un buon rapporto con la popolazione anche se a volte c’erano tensioni come in occasione della vendita, da parte dei tedeschi, di una macchina da scrivere quando nacque una lite accesa tra due cittadini di Filetto.

Ai primi di giugno del 1944 la situazione si evolve. A Filetto c’era il timore che i tedeschi prima di ripartire fossero pronti a portare via bestiame e derrate alimentari che gli abitanti conservavano nelle loro cantine. C’era anche chi pensava di far scendere i partigiani da Monte Archetto per far dare una lezione ai tedeschi per alcuni fatti accaduti pochi giorni prima a danno dei filettesi. Molti testimoni sono convinti che fu proprio la macchina da scrivere di cui sopra (e la lite che ne derivò) a provocare “l’eccidio”. Io penso invece che sia stato un fatto irrilevante e da escludere come causa della strage. Un fatto importante all’origine dei fatti accadde invece il 6 giugno del 1944. Un gruppo di abitanti di Filetto si diede appuntamento a tarda notte nel quartiere “Giurmella” in via Aruccia, lato Nord-Ovest del paese. Obiettivo della riunione era di preparare una lettera da inviare al gruppo partigiani di Monte Archetto che stazionava sulle montagne del territorio di Barisciano, lato Sud-Est della Piana di Campo Imperatore. Il contenuto della missiva era quello di chiedere aiuto ai partigiani affinché scendessero a Filetto per evitare razzie di bestiame e viveri da parte dei tedeschi. Il compito di portare la lettera fu affidato a un giovane liceale, il quale, all’alba del 7 giugno 44, si diresse verso “Monte Archetto” per raggiungere la formazione dei partigiani. Il giovane arrivato a Monte Archetto nella tarda mattinata consegnò la lettera al colonnello degli alpini Aldo Rasero, comandante della formazione partigiana. I partigiani, appena ricevuta la lettera, ne esaminarono attentamente il contenuto e in un primo momento decisero che non era il caso di scendere in paese. Ma dopo una lunga discussione, e sembra anche un vero e proprio voto, si decise di agire. Dopo le ore 13 un gruppo di partigiani da “Monte Archetto” si avviò verso Filetto pensando a una “operazione sorpresa”.

I partigiani giunti in paese intorno alle 17 si predisposero in tre gruppi di attacco. Mentre stavano per entrare negli alloggi dei tedeschi su via Romana nel palazzo “Facchinei”, alcune donne impaurite si misero a gridare, ma furono calmate e rassicurate dal seminarista filettese Silvio Settimio Marcocci.

L’operazione partigiana andava avanti. A un certo punto nell’aia di centro, vicino alla stazione radio telefonia nella casa di “Moro”, si sentirono degli spari, mentre altri colpi di mitra ed esplosioni di bombe a mano si sentirono dall’androne del palazzo “Facchinei”. Dalle testimonianze pare che fu ucciso, ad opera dei partigiani, un tedesco, mentre un altro rimase ferito. Un partigiano, durante la sparatoria, venne ferito e successivamente venne portato a spalla in direzione del monte di Pescomaggiore. Il gruppo di partigiani, considerato che “l’operazione sorpresa” era ormai fallita, ripiegarono verso la periferia e la montagna di “Fugno” e in altre direzioni. Contemporaneamente all’attacco dei partigiani, il maresciallo tedesco Schaefer saltò dal balcone dell’abitazione, si diresse verso via Paganica e salendo con un altro militare su un sidecar, si recò a chiedere rinforzi agli altri militari che stazionavano a Camarda e Paganica. Non era passato tanto tempo, quando dal paese si videro autocolonne militari salire lungo la strada bianca Camarda-Filetto.

LA RAPPRESAGLIA. Alcuni uomini e capi di famiglia che avevano fatto il militare o addirittura combattuto in guerra (nei Balcani o sul fronte greco-albanese), intuendo quello che poteva accadere, si diedero alla fuga nelle campagne e si nascosero nelle grotte del territorio di Filetto. La prima autocolonna militare tedesca, arrivata a Filetto, si fermò in via Paganica (sotto le finestre di palazzo Facchinei) e in piazza della Chiesa. Effettuarono subito un rastrellamento. Qualcuno riferisce che ad accompagnare i tedeschi in mezzo al paese ci fossero delle persone che parlavano italiano con accento locale (forse della zona di Paganica). L’autocolonna tedesca faceva parte della 114ª Divisione Cacciatori delle Alpi che nelle operazioni militari avevano il compito di fare terra bruciata dove passavano. Al centro del paese, in via del Forno, mentre usciva dalla propria casa, venne freddato da un colpo di pistola Antonio Palumbo di 64 anni (considerato il “capo” del paese) da un sottufficiale tedesco. Il maresciallo tedesco che era andato a chiamare i rinforzi disapprovò tale uccisione e fra i due graduati, in via Castello, nacque un litigio che si concluse con l’uccisione del maresciallo “buono” da parte dello stesso sottufficiale che aveva colpito a morte Palumbo. Tra il maresciallo ucciso e Palumbo era nata in precedenza una buona amicizia, da qui il diverbio tra i due militari tedeschi. La morte del maresciallo tedesco aveva avuto come testimone un ragazzo di Filetto di 17 anni, Mario Marcocci: il giovane venne catturato e ucciso. Mentre era già iniziato il rastrellamento di uomini, nella parte alta del paese, venne ucciso un altro abitante di Filetto, Ferdinando Meco, colpito nella piccola aia del Castello nella parte superiore di via Salere. Successivamente i tedeschi cominciarono ad ammassare donne, bambini e anziani tra via Paganica e lo slargo dei vecchi pagliai. I bambini, i ragazzi sotto i 16 anni, le donne e gli uomini sopra i 60 anni vennero raggruppati da un lato. Nell’aia di centro, distante 100 metri dall’altro gruppo, furono portati gli uomini “validi”. Poco prima delle ore 22 il gruppo di donne, bambini e anziani fu trasferito in località “Volanella”, lungo la strada bianca per Camarda a 800 metri da Filetto. Gli uomini da fucilare, una quindicina, furono portati verso il monte, tra l’ingresso del paese e la strada che porta a “Fugno”. A un certo momento i soldati tedeschi al comando di un sottufficiale iniziarono a sparare all’impazzata verso gli inermi cittadini. Nove rimasero uccisi sul posto. Altri scapparono in direzione della stalla di Giocondo Zinobile, ma raggiunti dai tedeschi vennero finiti a colpi di mitra e dati alle fiamme. L’ordine dell’esecuzione era stato dato dal capitano della 114ª Divisione Cacciatori delle Alpi Matthias Defregger. Durante la fucilazione del gruppo più cospicuo rimasero feriti e si finsero morti: Mariano Morelli e Amedeo Ciampa, mentre Basilio Altobelli saltò verso un fosso per allontanarsi poi verso la periferia. Nelle prime ore del mattino (8 giugno) Mariano Morelli, ferito gravemente alle gambe, fu portato da un tedesco in sidecar all’ospedale San Salvatore dell’Aquila e si salvò. Amedeo Ciampa, ferito gravemente a una mano, raggiunse faticosamente la vicina frazione di Pescomaggiore, dove, accompagnato da un suo amico con un asino, raggiunse l’ospedale per essere medicato e si salvò. La notizia dell’eccidio di Filetto durante la notte si era diffusa in un baleno, i primi ad arrivare dalla vicina Paganica furono il dottor Attilio Cerone e un suo collaboratore. Ciò che si presentò ai loro occhi fu terribile. C’era odore di morte dappertutto. L’eccidio giunse all’attenzione mondiale nel 1968 quando il giornale tedesco Der Spiegel rivelò che il capitano Defregger, che aveva dato l’ordine di esecuzione dopo la guerra, era diventato prete e nel 1968 era vescovo ausiliare di Monaco di Baviera.

MATTHIAS DEFREGGER. Classe 1915, prima di entrare nell’esercito tedesco, era un seminarista. Durante il servizio militare divenne capitano della Wehrmacht della 114ª Divisione Cacciatori delle Alpi, scelto dal comandante della Divisione, colonnello Boelsen, per compiere un crimine a carico di 17 inermi cittadini di Filetto il 7 giugno 1944. Matthias Defregger, dopo il 1945, riprese gli studi ecclesiastici e nel 1949 divenne sacerdote. Nel 1962 venne prescelto quale vicario generale dell’arcidiocesi di Monaco di Baviera. Nel 1968, fu nominato vescovo ausiliare dall’arcivescovo cardinale Dopfner. Papa Paolo VI non sapeva che la Procura della Repubblica di Francoforte sul Meno da tempo stava indagando su un crimine perpetrato ad opera di soldati tedeschi in un paesino dell’Abruzzo, Filetto dell’Aquila, il 7 giugno 1944. Il 7 luglio 1969 il noto giornale tedesco Der Spiegel era venuto in possesso degli atti relativi al caso.

*cittadino di Filetto

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