I medici fanno quadrato, l’accusa: «Quel soggetto andava arrestato» 

Sul caso della collega aggredita intervengono a sua difesa i vertici della società italiana di Psichiatria «Ricovero inappropriato di un paziente sotto l’effetto di droga, sì a maggiore tutela e azioni concrete»

L’AQUILA. Sicuramente scossa dall’aggressione subìta, ma al contempo determinata a portare avanti la riabilitazione per poter poi tornare a svolgere il suo ruolo con la professionalità e la dedizione di sempre. Colleghi e conoscenti che, in queste ore, hanno avuto modo di sentire, seppur brevemente, la professoressa Francesca Pacitti, raccontano con queste parole la sua reazione dopo l’aggressione subìta sabato scorso all’ospedale San Salvatore da parte di un paziente risultato positivo a cocaina e cannabis. La psichiatra ha riportato una grave frattura scomposta del femore, per la quale lunedì è stata sottoposta a intervento chirurgico.
tre mesi per recuperare
«La dottoressa», ha spiegato il direttore sanitario dell’ospedale, Giovanna Micolucci, «è stata sottoposta a un intervento chirurgico, sta bene compatibilmente con quello che comporta l’affrontare il decorso post-operatorio. Si è già messa a sedere e, nelle prossime ore, gli specialisti ortopedici contano di aiutarla a mettersi in piedi». Inizia così un percorso di guarigione piuttosto lungo: «Partirà così l’iter riabilitativo», ha aggiunto Micolucci, «quindi è presumibile che ci vogliano sessanta giorni per la frattura e novanta, complessivamente, per una guarigione completa. Ho parlato telefonicamente con la dottoressa che avevo già incontrato prima dell’intervento, è una persona professionalmente molto valida e umanamente molto resiliente».
SOCIETà DI PSICHIATRIA
Un’ennesima aggressione che continua a suscitare reazioni da parte di colleghi ed esperti del settore. A denunciare un’errata valutazione delle circostanze da parte delle forze dell’ordine è la Società Italiana di Psichiatria (Sip) per voce della presidente Emi Bondi. «Ancora una volta si demanda alla psichiatria la gestione della violenza e della sicurezza, un compito di custodia che non è in grado di svolgere in quanto disciplina medica: l’uomo, sotto l’effetto di cocaina e marijuana, presentava un comportamento aggressivo e violento, in assenza di altri sintomi psicopatologici, ma anziché essere tratto immediatamente in arresto è stato condotto al Pronto soccorso e ricoverato in psichiatria». Una circostanza tutt’altro che chiara. «Questo episodio», denuncia Bondi, «appare particolarmente grave per le dinamiche in cui si è svolto, a nemmeno un anno di distanza dalla morte di Barbara Capovani. Siamo nuovamente di fronte a ciò che come Sip denunciamo da tempo: con la Legge 81, e con l’incremento di condotte deviate legate al massiccio uso di stupefacenti e al disagio sociale crescente, si sta assistendo a una progressiva delega alla sanità in generale, e alla psichiatria in particolare, del ruolo di custodia e cura di persone violente. Che può essere pertinente per i pazienti psichiatrici che commettono reati in conseguenza delle alterazioni psichiche provocate dalla malattia, ma non lo è in tutte quelle situazioni di aggressività e violenza come espressione di devianza. Vogliamo farci portavoce presso le istituzioni della richiesta di maggiore tutela sui luoghi di lavoro e di azioni concrete, anche mirate a una distinzione delle mansioni tra ordine pubblico e cura». Alle parole di Bondi fa eco il presidente della Sip sezione Abruzzo-Molise (Sipsam) Vittorio Di Michele: «Oltre il danno anche la beffa, a conferma che troppo spesso ci si dimentica che i servizi psichiatrici sono luoghi di cura e non ambienti di custodia e di controllo sociale, dunque inadeguati allo scopo. I Dipartimenti di salute mentale non possono essere la “discarica” dei violenti, dei tossicodipendenti, di coloro che cercano benefìci secondari derivanti da diagnosi fittizie».
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