Il diverso destino dei centralinisti fa piangere a dirotto l'ex-prefetto

L’AQUILA. C’è un ex prefetto che piange a dirotto prima ancora che la giornata delle lacrime cominci. Domenica notte, quella terribile domenica notte, alla prima scossa, Aurelio Cozzani ha mandato a casa il centralinista deviando le linee telefoniche in questura. Poi ha fatto chiudere il corpo di guardia mandando il piantone a vigilare fuori dal palazzo sul punto di crollare. Uno l’ha salvato, l’altro no: è morto a casa. A passo svelto e tra i singhiozzi, il prefetto emerito, che dal primo aprile è andato in pensione, raggiunge i posti più avanti nel piazzale della cittadella della Finanza di Coppito.

«Mi porto addosso un grosso senso di colpa ingiustificato e innaturale», dice l’ex prefetto, «per essere andato via, per raggiunti limiti di età, da questa splendida città che ho imparato ad amare insieme alla mia famiglia e che è entrata nel mio cuore. Ma non potevo fare diversamente. Non faccio che piangere da quella notte maledetta. Sapevamo, alla prefettura, di stare in un posto a rischio ma come tutti gli edifici della città. La sera del terremoto, alla prima avvisaglia, abbiamo mandato via il centralinista che poi è morto a casa. Un destino crudele». L’ex prefetto si riferisce a Massimo Calvitti di San Gregorio che non è riuscito a scampare alla furia del terremoto. Cozzani piange per lui e per le altre vittime del sisma.

«Anche se non sono più al lavoro voglio continuare a essere vicino a questa città che quando sono arrivato ho trovato meravigliosa e che adesso non riconosco più, piena di macerie e di ferite. Non dimenticherò mai L’Aquila e vedremo come realizzare questo mio desiderio di essere ancora utile a questa terra».