Il professor D’Angelo parla dalla prigione in Albania: «Sono in crisi, mi rifugio nei libri»

Michele D'Angelo con la compagna Vanessa Castelli

28 Settembre 2025

Il docente dell’Università dell’Aquila rinchiuso dopo un incidente affida le sue sensazioni al Centro: «Ho avuto crolli e sono preoccupato per la salute, ma credo nella giustizia». Intanto prosegue la mobilitazione

L’AQUILA. «Sono da solo, ho avuto crolli psicologici, la barriera linguistica è un tormento quotidiano». Con queste parole Michele D’Angelo, professore di Biologia all’Università dell’Aquila, rompe per la prima volta il silenzio dal carcere di Fier, dove è rinchiuso da 50 giorni dopo l’incidente lungo la “Qafa e Kosovicës” costato la vita a un giovane albanese che viaggiava a bordo della Mercedes. Le registrazioni audio sono state affidate in esclusiva al Centro dalla compagna, Vanessa Castelli, anche lei docente universitaria, che ogni giorno alle quattro del pomeriggio cerca di trasmettergli un po’ di calore umano.

Intorno al caso si è levata una mobilitazione crescente: la Farnesina segue con attenzione la vicenda mentre l’Ambasciata italiana a Tirana è al lavoro per fare da collegamento tra i familiari del docente e le autorità giudiziarie albanesi. Preoccupazione è stata espressa dal rettore uscente dell’Università dell’Aquila, Edoardo Alesse e dal rettore eletto Fabio Graziosi, entrambi compatti nel chiedere «la liberazione immediata del docente». E ieri anche Lydia Colangelo, sindaca di San Severo, città d’origine del professore, ha scritto una lettera aperta al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per chiedere di mobilitare il Ministero degli Esteri e attivare tutti i canali istituzionali affinché si arrivi alla scarcerazione e al rientro in Italia.

Intanto dalla casa circondariale di Fier, accusato di “violazione delle norme sulla circolazione” e “abbandono del veicolo” D’Angelo racconta la sua quotidianità: «Sto vivendo un momento di grande difficoltà, sono abituato a stare tutto il giorno impegnato al lavoro, con i miei studenti, nei corsi e in laboratorio. Questa situazione di isolamento forzato, di silenzio, di sospensione, è per me ancora più deprimente». Alle difficoltà psicologiche si sommano i problemi di salute: «Ho alcune condizioni pregresse che dovrei monitorare regolarmente e seguivo una terapia che ora è interrotta o che qui non può essere gestita come dovrebbe. Questo mi preoccupa molto».

Gli aiuti arrivano grazie alle visite consentite: «Vanessa, i suoi genitori e la famiglia di una cara amica albanese mi portano del cibo, e gliene sono profondamente grato. Anche se il più delle volte mi trovo a mangiare cibi precotti, non avendo ancora acquistato un frigorifero. È una condizione che rende tutto ancora più difficile, ma cerco di resistere». A tenerlo in piedi sono soprattutto i libri: «Sono un piccolo rifugio, un modo per restare connesso con ciò che amo e con la mia vita di prima».

Il pensiero ritorna inevitabilmente al dramma di agosto: «L’incidente che mi ha coinvolto è uno di quei momenti che lasciano un segno profondo. È difficile trovare parole che possano davvero esprimere il dolore, la confusione, il senso di impotenza. Chiunque abbia guidato sa quanto la strada possa cambiare in un istante. A volte basta una decisione presa da altri e tutto si trasforma».

Sul rapporto con la giustizia albanese il professore non si sottrae: «Non cerco giustificazioni, ma credo sia importante che ogni dettaglio venga valutato con attenzione, attribuendo a ciascuno le proprie responsabilità. Mi affido con fiducia alla giustizia albanese, certo che saprà guardare con lucidità, umanità e rispetto alle circostanze. Sono e resto a disposizione delle autorità, con la massima trasparenza e collaborazione. È giusto che venga fatta chiarezza e io sono il primo a volerla».

Poi un passaggio sulla sua condizione: «Non posso nascondere quanto la misura della custodia cautelare in carcere sia a mio avviso eccessiva. È una condizione estremamente dura, soprattutto considerando la mia condotta, la mia storia personale e professionale. Esistono modalità alternative che potrebbero garantire il rispetto delle procedure senza compromettere ulteriormente la mia salute e il mio equilibrio psicologico».

D’Angelo, infine, rivolge parole di umanità ai familiari della giovane vittima: «Ogni giorno il mio pensiero è rivolto a loro, con rispetto e senso profondo di umanità. Questa tragedia ha sconvolto le vite di molte persone, me compreso, in modi che non avremmo mai potuto immaginare. Mi trovo coinvolto in una vicenda che non ho cercato, né causato, ma che ha cambiato radicalmente la mia esistenza. Prego affinché possano trovare, con il tempo, un po’ di pace, e che il ricordo della persona amata continui a vivere, con dignità e amore». Il professore ci tiene a rivolgere anche un messaggio ai colleghi, agli amici e agli studenti: «Grazie a tutti. Il vostro pensiero, il vostro sostegno, anche silenzioso, mi dà forza. Agli amici dico: torneremo a ridere insieme. È questo che mi tiene in piedi».

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