In quei giorni di paura gli aquilani furono lasciati soli

|d| Le prime pagine del Centro tra il 31 marzo e il 2 aprile 2009

L'AQUILA. All'inizio del mese di marzo del 2009 il telefono della redazione del Centro, in via XX Settembre 15 cominciò a diventare più "bollente" del solito. Una buona parte del lavoro giornaliero mio e dei miei redattori era ormai quello di rispondere alle tante persone che a ogni ora chiamavano per avere risposte alle domande che tutti si facevano da più di tre mesi: «Cosa sta succedendo, che significano tutte queste scosse, ci dobbiamo allarmare?».

Una decina di giorni prima del terremoto devastatore un lettore chiamò con un tono fra l'arrabbiato e il preoccupato. Per più di cinque minuti parlò solo lui. Aveva appena letto la cronaca dell'Aquila del Centro nella quale, come ogni giorno, da settimane, il titolo principale era dedicato al terremoto. In quei titoli cominciavano a comparire termini sempre più allarmanti: persino "paura" e "incubo". Quel lettore mi chiedeva di insistere con gli esperti e le autorità competenti per cercare di capire, dare delle indicazioni alla popolazione. «Ma il Comune che fa?» disse quasi gridando tanto che dovetti scostare per un attimo la cornetta dall'orecchio, «perché nessuno ci dice dove dovremo andare nel caso di una forte scossa, esiste in questa città un piano di protezione civile, perché nessuno fornisce indicazioni su come comportarci in caso di terremoto?».

Noi, sul Centro quelle indicazioni le avevamo date - con tabelle esplicative che contenevano una sorta di decalogo - ma qualcuno, anche fra i nostri amministratori, le aveva lette come una sorta di giochino della domenica sul quale trastullarsi in attesa dell'inizio del Gran Premio di Formula 1 in Tv. Quel lettore non lo conoscevo. Non gli avevo chiesto nemmeno il nome anche se ero rimasto al telefono con lui per più di 10 minuti.

Un paio di mesi dopo il terremoto - mentre andavo nel camper (nella tendopoli installata nel piazzale Pertini vicino all'ex Italtel) che è stato la nostra redazione provvisoria per tutta l'estate del 2009 - mi sentii chiamare. Era lui, quel lettore, che mi aveva riconosciuto e mi voleva salutare. Mi disse solo: «Ricordi quella lunga telefonata di fine marzo?». «La ricordo bene» replicai. Lui fu così gentile da non continuare il discorso. So quello che mi voleva dire, ma ormai non serviva più, almeno a me.

Il 2 aprile 2009, ero a casa per la pausa pranzo. Mi chiama sul cellulure un'amica e compaesana, Luana Mastracci. Aveva una gran paura del terremoto e chiedeva a me consigli su come comportarsi ma soprattutto mi sollecitava a stimolare gli esperti affinché dessero quantomeno delle indicazioni di massima su che fare: per esempio se dormire in casa o stare fuori almeno fino a quando lo "sciame" non si fosse placato. Luana, quella notte del sei aprile non ce l'ha fatta. Abitava davanti alla chiesa parrocchiale di Onna, là dove adesso non c'è più traccia di edifici. E' stata travolta da macerie e polvere.

Due episodi, piccoli, ma che mi sono rimasti stampati in mente e che rappresentano bene il clima di tensione e attesa che c'era in città nei giorni prima del momento della tragedia: le 3.32 del 6 aprile.

Ricordo anche quella mattina quando, parlando con il direttore e il caporedattore, venne fuori l'idea di scrivere un pezzo nel quale raccontare, in prima persona, quella paura che cresceva di giorno in giorno. A quel sentimento diffuso gli esperti però davano una sola risposta: non allarmatevi state tranquilli. La Procura, come è noto, ha acquisito anche gli articoli del Centro dei mesi di febbraio e marzo. Non c'è uno straccio di dichiarazione "ufficiale" che non sia di rassicurazione. La stessa richiesta di stato di emergenza o calamità naturale avanzata dal Comune al governo pochi giorni prima del terremoto, era - forse è il caso oggi di dirlo chiaramente - solo un modo per avere un po' di soldi per fare lavori a qualche scuola (la De Amicis in particolare) visto che il bilancio comunale non lo permetteva.

La questione quindi, in quei giorni, non era tanto prevedere o meno il terremoto (anche se Giampaolo Giuliani ci ha provato e quella notte chi gli ha dato retta si è salvato), ma solo porre scrupolosa attenzione a un fenomeno che tutti ormai sentivano essere preoccupante. Non fu fatto. E' un reato? Forse no. Ma le 308 vittime non lo sapranno mai.

© RIPRODUZIONE RISERVATA