GRANDI RISCHI

L'Aquila, Vittorini: "Lotto contro uno Stato che non dice la verità"

Il consigliere comunale: sulla vicenda Grandi rischi rilevo nebulosità e omertà. De Bernardinis faccia un esame di coscienza: solo lui sa come andarono le cose

L'AQUILA. Uno Stato che passa sopra ai propri errori e nasconde la verità «con tutti gli strumenti possibili e usando i suoi funzionari», qualcuno dei quali «occulta», mentre altri (coraggiosi) «cercano la verità». Così è stato con il processo “Ruby” a carico di Silvio Berlusconi, così per la morte di Stefano Cucchi, pestato in carcere fino a morire. Di esempi di assoluzioni in secondo o in terzo grado «che ribaltano la verità sancita dai giudici in primo grado» la storia del Paese è piena. Non teme di scuotere qualche sensibilità istituzionale o politica Vincenzo Vittorini, parte civile nel processo alla commissione Grandi rischi nella sua composizione all’epoca del sisma. Vittorini vuole togliersi un po’ di sassolini dalle scarpe, che poi sono macigni.

Il 10 novembre scorso la Corte d’Appello ha assolto sei su sette componenti della Cgr, aprendo per gli aquilani, dice Vittorini, «una battaglia impari tra Stato e cittadini». Cucchi, Berlusconi, Grandi rischi: lo Stato-Titano «rovescia la verità», creandone una diversa, «con l’avallo della Procura della Repubblica che non ha avuto il coraggio di andare fino in fondo», facendo come fa quello che lancia il sasso e poi ritira la mano. Le parole di Vittorini hanno il sapore amaro di chi non ha più niente da perdere, avendo lasciato sotto le macerie la moglie e la figlia piccola. «Il Paese non ha capito questo processo», spiega, banalmente bollato dalla «stampa di Stato» come processo alla scienza. Così, a poche settimane da quando il sostituto procuratore generale Romolo Como ha depositato in Cassazione il ricorso contro la sentenza d’Appello alla Grandi rischi, contestualmente alla richiesta di rinvio a giudizio per l’allora capo del Dipartimento di Protezione civile Guido Bertolaso, pone domande: sono condizionati dallo Stato anche i procuratori? Provoca: che differenza c’è tra Stato e mafia, visto che un processo è in corso a Palermo anche su questo? Indica i presunti «responsabili» che non sono stati coinvolti, come il sindaco Massimo Cialente, la cui deposizione del 7 dicembre del 2011 fu «contraddittoria».

E denuncia senza mezzi termini «fatti, omertà, faziosità, nebulosità» che avrebbero viziato il processo. Un esempio? Quelli che definisce «i pizzini», messaggi in codice che uomini dello Stato inviano (è nota la polemica tra Vittorini e l’ex capo della Protezione civile Franco Gabrielli, l’ex ministro dell’Ambiente Massimo Clini, il giornalista Mario Tozzi e l’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giovanni Legnini, ai quali si aggiunge l’avvocato dello Stato Carlo Sica, che nell’arringa in Appello all’improvviso annuncia l’arrivo di miliardi di euro per la ricostruzione dell’Aquila nei prossimi sei anni) «entrando a gamba tesa nel processo e provocando interferenze». Di qui, un processo disperso in mille rivoli per «tagliare la verità, che è invece una sola». Per Vittorini bisogna rifare tutto il processo con tutti quanti gli attori. Intanto continua a combattere per dare una verità alla città e al figlio Federico. Che gli dice: «Papà vai avanti».

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Cosa vuol dire andare avanti?

«Fare una battaglia giusta. Mi accusano di essere ossessionato. Una volta il sindaco Cialente è arrivato a dirmi che devo farmi curare. Invece non è così. Io continuo a vivere, a pensare a mio figlio. La mia è lucida determinazione ad arrivare alla verità. La stanchezza, poi, passa quando vedi un uomo come il sostituto procuratore Como che va avanti per la sua strada, dando a noi la forza di continuare a combattere».

Qual è la “verità sola” alla quale fa riferimento?

«Questa è una battaglia difficilissima che si fa contro lo Stato, che all’Aquila ha sbagliato. C’è stata una strage con 309 morti da cui lo Stato sta tentando di uscire pulito. Questo è un Paese che fa orrore, perché rende impuniti i potenti. A questo scopo è arrivata la sentenza di secondo grado del processo alla Grandi rischi. Una sentenza volta a minimizzare la portata di tutte le responsabilità istituzionali, in cui ci sono alcuni passaggi assurdi. Gli attori in causa, poi, sono sempre gli stessi: l’avvocato Coppi, solo per fare un esempio (difensore di Berlusconi, all’epoca presidente del Consiglio). Solo se lo Stato e i suoi uomini, a tutti i livelli, chiedono scusa si può cambiare e cominciare a fare prevenzione vera sulle calamità naturali, che in Italia avvengono all’ordine del giorno. In questa battaglia, però, gran parte della città è assente. La sentenza d’Appello dice che sei componenti della grandi rischi sono stati assolti e uno è condannato, ed è Bernardo De Bernardinis. Dunque dal processo emerge la responsabilità sua e del Dipartimento. Ma io non penso che De Bernardinis possa avere agito da solo, dicendo certe cose di sua iniziativa e facendo prima e dopo la riunione delle considerazioni che andavano nella direzione di rassicurare, parlando, per esempio, di scarico di energia».

De Bernardinis sa qualcosa che non ha mai detto?

«Io penso che lui sia l’unico a sapere come sono andate veramente le cose all’Aquila, per il suo ruolo e i suoi rapporti, in particolare con i vari componenti della Grandi rischi e con Bertolaso. Da marito, padre di famiglia e da cittadino gli chiedo, dopo sei anni, di farsi un esame di coscienza e dire come sono andati i fatti: ne ha l’obbligo morale. Finora è stato presente a tutte le udienze, come se fosse stato scelto come capro espiatorio della vicenda. La ricostruzione dei fatti tra l’altro già emerge da tutte le carte di cui siamo in possesso. Altrimenti la Procura generale non avrebbe chiesto il rinvio a giudizio per Bertolaso invece di fare come ha fatto, a suo tempo, la Procura della Repubblica, che per due volte ha chiesto l’archiviazione. Quanto a Bertolaso, è lui, secondo noi, l’ispiratore della riunione del 31 marzo 2009 e delle sue conclusioni. E nei suoi confronti cosa ha fatto la Procura? Non solo ha chiesto l’archiviazione, ma anche la distruzione dei supporti informatici contenenti tutte le intercettazioni tra Bertolaso e i vari soggetti coinvolti nella vicenda aquilana. Questo giustificherebbe la frammentazione. La Procura voleva forse mettere la parola fine?».

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Lei ha più volte contestato l’operato della Procura.

«Lo sbaglio è stato spezzettare i processi, disperdendo anche le responsabilità. Per questo c’è chi è uscito dal processo, chi è entrato, e chi non è mai stato coinvolto perché sono state fatte delle archiviazioni. Io contesto alla Procura di non avere voluto affrontare la vicenda a 360 gradi, mentre si è voluto difendere lo Stato. Alla fine la scelta si è rivelata un errore, dando modo alla Corte d’Appello di smontare il processo. Infatti la Procura generale non ha potuto affrontare tutto ciò che non ha funzionato della Grandi rischi proprio perché la Procura aveva portato a processo soltanto una parte. E invece la responsabilità è a tutti i livelli: dal Comune, con il sindaco che è la massima autorità locale di Protezione civile, alla Regione, fino al Dipartimento».

Può spiegare meglio?

«Solo per fare un esempio, in un’udienza del primo grado il pm affermò che la Grandi rischi, per essere valida, doveva essere composta da 10 membri. E il 31 marzo del 2009 alla riunione parteciparono effettivamente i 10 componenti. Il pm Fabio Picuti li elencò. Tra loro c’erano anche il sindaco, l’assessore regionale Daniela Stati e un dirigente della Protezione civile regionale, Altero Leone; ma quando il pm ha chiesto la condanna per la Commissione, ha anche scorporato questi ultimi tre dal processo, equiparandoli a semplici uditori. Invece per i ruoli istituzionali che ricoprivano, ed essendo depositari della conoscenza precisa del territorio, anche loro avrebbero dovuto in quella sede fare un’analisi del rischio. Il sindaco Cialente ha, inoltre, avuto un atteggiamento ambiguo in questa vicenda. Infatti, mentre subito dopo la riunione della Cgr ha dichiarato alla stampa di essere stato rassicurato ribadendolo anche nei mesi successivi al sisma, durante il processo, chiamato come testimone dell’accusa, ha rilasciato una testimonianza in cui ha detto di essere, invece, uscito impaurito dalla riunione. Parole alle quali si sono, poi, aggrappati i legali dei componenti della Cgr per chiedere l’assoluzione in Appello dei loro imputati. Dopo la sentenza della Corte d’Appello, il sindaco si contraddice ancora, dichiarando all’Ansa di essersi sentito rassicurato dalla Cgr, facendo riferimento anche allo sciame sismico come scarico di energia. Perché nessun operatore della giustizia ha indagato su questo comportamento ambiguo del sindaco?».

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Adesso c’è il nuovo capitolo della Cassazione.

«Nel ricorso contro la sentenza d’Appello, Como si oppone alla considerazione secondo la quale quella del 31 marzo 2009 “non fu la commissione Grandi rischi”. Una cosa assurda. Ma se quella che si riunì il 31 marzo del 2009 non era la Grandi rischi, e quegli esperti stavano facendo una semplice “ricognizione” all’Aquila, allora perché sono stati riportati tutti qui il 6 aprile, dopo la catastrofe, addirittura con gli elicotteri di Stato, per firmare il verbale della riunione del 31 marzo? Ecco lo Stato che tenta di mettere una pezza».

Quali sono i passaggi assurdi nella sentenza d’Appello?

«Ce ne sono diversi. Intanto vorrei ricordare che la Corte d’Appello è entrata nel merito della vicenda Bertolaso senza averne la legittimità, in quanto la Procura aveva tenuto fuori il capo del Dipartimento e non faceva parte del primo grado. Lo hanno fatto per influenzare? Poi, alle pagine 219 e 220 delle motivazioni i giudici dicono cose non vere: che alla conferenza stampa successiva alla riunione c’erano soltanto De Bernardinis e Barberi. È un falso. C’erano anche altri membri. Inoltre, in Appello è stato ignorato l’audio della conferenza stampa dal quale emerge un chiaro messaggio tranquillizzante. Ancora: a pagina 181 delle motivazioni viene detto che i componenti locali di protezione civile non potevano fare analisi del rischio. È un errore. Vuol dire che non si conoscono le regole. L’analisi del rischio la fa certamente la scienza ma, poi, è il sindaco a essere obbligato a descriverne le criticità».

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