L’avvocato Colagrande: «Processi troppo lenti»

Il penalista attacca il sistema giudiziario: vilipesa la civiltà del diritto italiano «All’Aquila pesanti disservizi dovuti a carenze organizzative e pochi spazi»

L’AQUILA. Processi lenti, sedi inadeguate, troppi rinvii e sostituzioni di magistrati. Insomma, varcare la soglia del palazzo di giustizia è un’odissea quotidiana, aggravata dalle conseguenze del sisma. Se ne fa portavoce, in una nota, l’autorevole penalista Angelo Colagrande. «È una delle tante mattine nelle quali», scrive, «come d’abitudine, metto in borsa i documenti delle cause che seguo, i codici sempre più voluminosi, in perenne aggiornamento, purtroppo per la mutevolezza delle leggi come molti addetti ai lavori dicono. Mi porto questo fardello, assorto nelle riflessioni sulla giustizia. A prescindere dai valori nei quali ho sempre fermamente creduto, radicati nel Dna di generazioni, e che mi sostengono nell’attività di penalista, che sono quelli di giustizia, mi sembra che il sistema riveli disfunzioni gravi. Ne è un esempio il Tribunale dell’Aquila che può vantare un passato illustre, tanto da essere stato riferimento in ambito regionale e, prima ancora nazionale, e ora sembra avviato verso un declino inarrestabile. I processi hanno durata eccessiva e mostrano falle dall’avvio, legate a un anacronistico sistema di notifiche. Rinvii ripetuti che impongono agli operatori a riprendere in mano, per ogni nuova udienza, gli stessi documenti per richiamare alla memoria i punti importanti del caso. Se cambia giudice, poi, come spesso avviene, la situazione si complica perché il nuovo incaricato deve ricostruire dall’inizio l’intera vicenda, conoscere, approfondire, per riallinearsi con le precedenti risultanze. Le lungaggini e i rinvii comportano udienze fiume e un lavoro gravoso che, al di là di ogni buon intendimento, porta spesso a non approfondire abbastanza, a trattare frettolosamente fatti che incidono in modo anche drammatico sulle sorti dei soggetti coinvolti. Ma per coloro che chiedono giustizia, che sono i veri protagonisti, questi meccanismi non sono comprensibili e l’avvocato diventa il terminale emotivo delle loro aspettative, del senso di impotenza che si traduce in mancanza di fiducia nelle istituzioni e può comportare ricadute sociali. A ciò si aggiungono i problemi di una città distrutta, nelle mani di politici incapaci di governare con impegno, responsabilità e trasparenza, più attenti a soddisfare interessi di parte che quelli della collettività. A oltre quattro anni dal terremoto non c’è certezza di programmi e l’informazione dei cittadini da parte de] Comune sullo stato di attuazione degli stessi è carente . E le lamentazioni sulle difficoltà legate alla ricostruzione, sia pur fondate, per la dipendenza degli interventi prospettati dalle esigue erogazioni statali, finiscono per diventare un facile alibi a cui ricorrere per giustificare carenze dei servizi, già presenti prima del sisma. C’è mancanza di chiarezza sulla definitiva allocazione del Tribunale, attualmente a Bazzano in spazi insufficienti con la conseguenza di disagi per utenti e operatori. Non si sa se tornerà a occupare il Palazzo di Giustizia di via XX Settembre o se quegli spazi saranno destinati alla Corte d’Appello. Nel frattempo si soffrono pesanti disservizi dovuti a carenze organizzative e alla necessità, sempre per mancanza di locali, di custodire atti e fascicoli ad Avezzano. Nei corridoi e nelle aule continuano a vedersi faldoni accatastati e spesso scomposti che danno l’amara impressione di vecchio apparato». «L’informatizzazione del processo», prosegue, «già posta in essere in altre realtà, permetterebbe di conseguire grossi vantaggi in termini di riduzione di tempi e migliore gestione delle risorse umane. Ci si appella alle istituzioni e a coloro che hanno il dovere di raccogliere e interpretare le istanze sociali affinché intervengano in modo sinergico e determinato per eliminare disservizi, produrre iniziative per snellire le procedure riducendo tempi e costi; a titolo di esempio, buoni risultati sono stati ottenuti, seguendo positive sperimentazioni, dalla Corte d’Appello di Torino, dalla Corte d’Appello sezione lavoro di Roma e in altri luoghi. Ma L’Aquila è una realtà che riflette quel clima di inadeguatezza che, a livello nazionale, deriva dal preoccupante quadro dell’intero sistema giudiziario. La civiltà giuridica, vanto e orgoglio dell’Italia, è vilipesa dal ricorso a normative opportunistiche, espressione di contaminazioni con interessi di parte o da una condizionata applicazione delle regole. Mentre si assiste alla perdita della certezza del diritto, invece di varare riforme, a partire dal complesso carcerario, annunciate ma non realizzate, si ripetono tentativi di indire amnistie e indulti che rischiano di salvaguardare quanti, abusando del potere, hanno illecitamente gestito la cosa pubblica. Il crimine non ne risulta certo disincentivato». «L’analisi fatta nel corrente anno», conclude la nota, sintetizzata, del legale aquilano, «da osservatori stranieri sul sistema giudiziario italiano ne rileva ancora, con dati sconfortanti, un cattivo funzionamento, le cui cause, note da anni restano irrisolte con danni per la collettività sul piano, etico, sociale e d’immagine di fronte alla comunità internazionale».

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