L’Urban center bloccato da liti e polemiche fra i soci

Doveva dare una mano a ridisegnare la città del futuro ma quando si è passati alle nomine il giocattolo si è rotto

L’AQUILA. C’è un fantasma che si aggira per la città, si chiama Urban center. Doveva essere la chiave di volta della ricostruzione dell’Aquila con il meglio dei cervelli indigeni a spremersi per suggerire strategie di sviluppo, innovazioni urbanistiche, valorizzazione di aree a vocazione turistica. E poi, all’occorrenza, dare sonore bacchettate ai reggitori per correggere possibili errori o suggerire soluzioni alternative. E invece l’Urban center è diventata una sorta di Araba fenice «che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa». Il presidente, nella persona dell’architetto Maurizio Sbaffo, è stato eletto quasi sette mesi fa dopo un bel po’ di polemiche che sono continuate, sempre più aspre, con la nomina del cosiddetto comitato scientifico, avvenuta a dicembre. Il 20 aprile doveva essere approvato il regolamento, che è lo strumento operativo dell’Urban center. Ma è saltato il numero legale e tutto è stato rinviato al 16 maggio. Se si escludono schermaglie e polemiche fra i rappresentanti dei 65 “soci” nulla di concreto finora è stato detto o prodotto. Eppure il capoluogo, a fronte dell’arroganza e della prosopopea della politichetta locale, avrebbe bisogno come il pane di uno strumento di proposta e controllo che si nutra di quella parola magica che è partecipazione. Ma la partecipazione spesso serve ai vari attori non protagonisti solo a conquistare strapuntini e a volte diventa un mezzo per salire di grado nella scala sociale ed entrare nelle agognate lobby. La parolina magica è presidenza. In giro ci sono più presidenti che cittadini e spesso, i presidenti, non rappresentano nemmeno se stessi. Ma andiamo un po’ indietro nel tempo e vediamo come nasce l’Urban center. A parlarne per prima fu, già nel 2009-2010, l’associazione Policentrica la quale intuì che la dispersione sociale e materiale creata dal sisma avrebbe avuto bisogno di una visione, appunto, policentrica, in una città storicamente chiusa dentro le mura urbiche prontamente ricostruite dopo il terremoto per difendere il “mobilio” dagli assalti dei barbari invasori.

Da allora iniziò un percorso che a un certo punto si incrociò con l’Inu (istituto nazionale urbanistica ) che aveva delle esperienze nel campo degli Urban center. Per trovare una sintesi fra le proposte di Policentrica e quelle dell’Inu scese in campo anche il Comune dell’Aquila tanto che, dopo dibattiti e discussioni, si arrivò alla messa a punto dello Statuto. Attraverso un avviso pubblico vennero invitati a partecipare all’Urban center, in qualità di soci, tutti coloro che avessero avuto interesse in tal senso. La risposta fu importante e si giunse al numero di 65 soci fra cui ordini professionali, associazioni culturali, Università, sindacati, cooperative. Sembrava che la nave fosse pronta a salpare verso il mare aperto ma quando si passò a parlare di presidenza e incarichi vari il giocattolo cominciò a rompersi. Ci sono voluti mesi per arrivare a scegliere i 5 membri del comitato scientifico che, si badi bene, non è lo staff del presidente ma il motore di una macchina guidata dall’assemblea dei soci che è la vera detentrice del “potere” di proposta e messa a punto dei progetti da “offrire” alla riflessione pubblica. Pochi giorni fa è andata a vuoto l’approvazione del regolamento (decine di pagine scritte in un burocratese a volte irritante) a causa appunto della mancanza del numero legale. Il 16 maggio nuovo tentativo (per approvare il regolamento servono i due terzi dei voti). All’ordine del giorno dell’assemblea al primo punto c’è scritto: ingresso di nuovi soci. Risolto il problema con la solita furbata. Fra una quindicina di giorni grazie ai “nuovi” soci il regolamento sarà quasi certamente approvato. La speranza è che una volta messe a posto le “carte” l’Urban center parta davvero e non sia l’ennesima occasione perduta della città.

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