L’Aquila

La Cassazione: «Post terremoto all’Aquila, era legittimo procacciare affari»

13 Ottobre 2025

Ordinanza della Cassazione su una parcella per la ricostruzione degli edifici dopo il terremoto: la Corte dà ragione ai mediatori a caccia delle migliori iniziative per l’acquisizione di incarichi e contratti per l’esecuzione di opere edili

L’AQUILA. Forse molti ricorderanno l’imprenditore che poche ore dopo il terremoto del 6 aprile 2009 rideva al telefono immaginando i grandi affari che avrebbe potuto fare con la ricostruzione. Quello fu un fatto clamoroso e mediatico ma “dietro le quinte” in tanti sin dalle prime settimane si “mossero” per agguantare appalti. La conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, arriva ora da una ordinanza della Cassazione che nel merito si occupa di una semplice rivendicazione di una "parcella" per un servizio reso e non pagato ma, vista in un quadro più ampio, è la spia della “caccia” ai lavori e ai soldi pubblici che si scatenò quando ancora in giro c’erano le tendopoli e molti terremotati erano negli alberghi della costa.

L’ordinanza ci racconta di due procacciatori d’affari ai quali una società non aquilana, nel settembre 2009, aveva affidato «la promozione delle migliori iniziative, volte all’acquisizione di incarichi e contratti per l’esecuzione di opere edili in relazione alla ricostruzione degli edifici. In particolare, la pretesa specifica atteneva al contratto d’appalto per la ricostruzione di un edificio condominiale, che sarebbe stato procacciato in favore della società».

La storia dal punto di vista della causa civile è finita che la Cassazione ha cancellato la sentenza di Appello che aveva dato torto ai due procacciatori (in quanto non iscritti ad apposito Albo). Il tribunale in primo grado aveva dato loro ragione. Nell’ordinanza si legge che «nel caso in esame il mandato non riguardava la ricerca di contraenti per la stipulazione di un singolo contratto, o, al più, per un novero determinato di contratti, bensì per una molteplicità indefinita di contratti» quindi «non si trattava di sollecitare la stipulazione di contratti a priori determinati, sia pure differenti per tipologia di negozio bensì, più latamente, di proporre e sollecitare interventi di ricostruzione edilizia, dallo smaltimento e riciclo dei materiali inerti, alla costruzione, recupero, ristrutturazione, messa in sicurezza, ai cantieri, strade, infrastrutture e fognature, demolizioni e puntellamenti».

I due procacciatori non dovevano essere necessariamente iscritti in un apposito albo e quindi la sentenza di Appello, secondo la Cassazione «deve essere cassata con rinvio alla Corte di Appello, con enunciazione del principio di diritto: il contratto con il quale la parte mandataria si obbliga, dietro corresponsione di compenso ad affare concluso, a promuovere la stipulazione di una pluralità indefinita di contratti, senza vincolo di subordinazione o di para-subordinazione, in assenza delle attribuzioni gestorie e di rappresentanza attribuite dalla legge all’agente, ha natura atipica non assimilabile a quello di mediazione unilaterale e di agenzia».

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