La memoria e la speranza

Messaggi, foto e video sul sito del Centro, i lettori raccontano il loro Natale

Scrive Maludi, il 20 dicembre, sul sito internet del Centro: «Carissima L’Aquila mia, carissimi miei concittadini, passerò un Natale triste perché non sono lì, tra voi, tra i miei monti, tra lo splendore dei miei monumenti».

«Il ricordo della felicità non è più felicità. Il ricordo del dolore è ancora dolore». Lo diceva Byron. Per Maludi, come per tutti gli altri aquilani come lei, il ricordo della felicità passata è intrecciato indissolubilmente alla coscienza del dolore presente in questo primo Natale dopo il terremoto del 6 aprile.
Il sito del nostro quotidiano (all’indirizzo www.ilcentro.it) va raccogliendo, da qualche giorno, le testimonianze di quel dolore ma anche della speranza degli aquilani e di chi è stato ed è vicino alla città ferita. Per rendersene conto basta cliccare sul link dell’iniziativa lanciata, da qualche giorno dal nostro giornale: «L’Aquila, il Natale del terremoto. Raccontalo con immagini e parole».

In uno degli anni peggiori per l’Abruzzo il Centro chiede ai suoi lettori di descrivere, con immagini, video o parole, il Natale che stanno vivendo e le loro speranze per l’anno che verrà. L’invito è esteso anche a tutti coloro che, sebbene non abruzzesi, hanno seguito con partecipazione questa grande tragedia nazionale. I messaggi e i video giunti sul sito compongono già la trama delicata di una stoffa in cui i colori della memoria ferita si intrecciano con quelli del desiderio di un futuro diverso.
Un futuro che può chiamarsi Francesca. E’ il caso di una mamma che si firma francie09 e scrive: «Francesca, sei nata di corsa il 10 aprile, abbiamo rischiato entrambe molto, abbiamo lottato per vivere e fortunatamente ce l’abbiamo fatta. (..) Sei tu che illumini questo triste Natale, sei tu la speranza ed il futuro di questa città bombardata, ridotta in macerie».

Secondo Gide, «non c’è niente che ostacola la felicità quanto il ricordo della felicità». Una lettrice che si firma debora70 racconta come lei stia cercando di averla vinta su quel ricatto della memoria: «Sono una delle migliaia di sfollati dell’Aquila, vivo sulle coste teramane, con uno dei miei figli, in un appartamento in affitto, e mi ritengo fortunata perché sono riuscita ad averlo. La tristezza, l’angoscia e il dolore quasi fisico che provo ogni volta che penso all’Aquila è immenso, come vorrei tornare al più presto nella mia adorata città».
«Tutto questo disastro però», aggiunge, «non è riuscito ad abbattere il mio fiero carattere di aquilana (..) e mi accingo ad addobbare questa mia nuova abitazione con un piccolo abete ed un’altrettanta piccola capanna della Natività».

Con la natura e le opere degli uomini, il terremoto ha scomvolto anche le vite delle persone, strappandole a una normalità che oggi appare eccezionale.
E’ ciò che è accaduto a Silviaaq che racconta: «Natale 2009 lo passerò lontano dalla mia cara L’Aquila perché dopo il terremoto sono venuta a lavorare a Milano e la mia tristezza è grande. (...) Oggi aprendo il sito del Centro ho visto la foto dell’albero che ha donato la Protezione civile della Valle d’Aosta alla nostra città. Ho sorriso perché quell’albero l’ha addobbato il mio babbo che di lavoro fa proprio questo: illumina la vita delle persone!».

Rita555 estrae dalle macerie un brandello del suo passato e lo mette a confronto con il presente: «C’è una piccola ghirlanda attaccata sulla porta della roulotte che mi fa da casa ormai da 8 mesi. Dentro, in mezzo al caos di cose e altro, c’è un piccolo albero trovato su una rivista. Il mio Natale è tutto qui, ma poi vado a lavorare in una vecchia edicola che ha sostituito, riadattata, il bel negozio che avevo a Coppito e sono felice: Buon Natale».
Ivana era una studentessa di Ingegneria fuori sede, morta nel crollo di una palazzina in via Generale Rossi. Suo padre scrive usando il nickname di lanang: «Vivo il mio post terremoto, non essendo aquilano, lontano dal circo mediatico che ha portato all’Aquila praticamente tutto il mondo. Sono quotidianamente impegnato su due fronti: svolgere decorosamente il mio lavoro, unica fonte di reddito per la mia famiglia, e tenere insieme quel che resta della mia famiglia cercando di evitarne il disfacimento».

Cinque mesi dopo il terremoto del 1915 che distrusse la Marsica, Ignazio Silone, in una lettera al fratello, raccontava così il suo ritorno nella sua Pescina: «Ho rivisto il luogo dove tu, fortunatamente fosti scavato. Ho rivisto tutto ed ora, ora cosa farò?».
Come lo scrittore di «Vino e pane», anche Paolamu ha perso i genitori nel terremoto del 6 aprile, ma non la speranza. Scrive: «La mia bellissima città sofferente e pallida. Senza il rosso dei tappeti sulle strade, senza il verde degli abeti di Natale senza l’oro delle luci che pendono dall’alto. Ti voglio ancora come eri lo scorso anno e come sarai ancora, ne sono certa, l’anno prossimo».