L’Aquila: migranti trasferiti in Basilicata, ma sono possibili ulteriori arrivi

13 Novembre 2025

Ieri mattina è partito un pullman con quaranta richiedenti asilo diretti ai Cas di Potenza e Matera, altri cinque giovani alla Mensa di Celestino. Verini: «Smantellare eccedenza del Progetto Case»

L’AQUILA. Un pullman che parte al mattino, un nuovo gruppo che si palesa qualche ora dopo. In poche ore L’Aquila conferma il suo ruolo di città di transito per i migranti che arrivano dalla rotta balcanica, tra partenze verso i centri di accoglienza e nuovi arrivi in cerca di protezione. Ieri, alle 8.30 in punto, un bus è partito dalla Questura con a bordo quaranta migranti richiedenti asilo, destinati ai centri di accoglienza straordinaria della Basilicata: 22 a Potenza e 18 a Matera. Nei giorni scorsi, i giovani pakistani e afgani avevano dormito al freddo, trovando riparo tra rientranze, sottopassi e l’area di piazza d’Armi. Il trasferimento è stato organizzato in coordinamento con la Prefettura dell’Aquila, la Polizia e gli operatori delle associazioni impegnate nell’assistenza. Inizialmente i convocati erano 25, ma nelle ultime ore sono state individuate altre persone che hanno raggiunto il capoluogo. Un’operazione che ha permesso di offrire una sistemazione più adeguata, ma non ha interrotto il flusso. In serata, infatti, altri cinque giovani pakistani sono arrivati alla Mensa di Celestino. Poche cose in tasca, un contatto di riferimento e l’intenzione di avviare la procedura per la richiesta di asilo. Stanchi e infreddoliti, hanno potuto mangiare, lavarsi e ricevere scarpe e coperte per la notte. Alla Mensa, gestita dalla Fraterna Tau, cresce il senso di responsabilità, insieme alla preoccupazione per l’assenza di spazi adeguati al pernottamento. «I nuovi arrivati sanno già come funziona», spiega il responsabile Paolo Giorgi. «Arrivano in città, si presentano in Questura, vengono qui per cena, docce e attesa dei posti nei Cas. Di fatto questo luogo finisce per svolgere il ruolo di un piccolo centro di primo approdo, ma in condizioni climatiche molto difficili. Se ci fosse un locale dove ospitarli la notte, lo gestiremmo gratuitamente, pur di non vederli dormire in strada». Giorgi ricorda anche la durezza dei viaggi affrontati da queste persone: «Molti camminano per cinque o sei mesi, attraversano confini, prigionie, ricatti. Arrivano a Trieste e vengono lasciati liberi di vagare. Alcuni arrivano fino a L’Aquila, a oltre mille chilometri di distanza, che ormai è diventata un punto di approdo e smistamento. Ma resta la domanda: dove finiscono tutti gli altri? Quanti restano invisibili?». Poi aggiunge: «Si pensi che hanno viaggiato per mesi a piedi, con le tribolazioni e le umiliazioni che sappiamo – prigionie, maltrattamenti, ricatti. Arrivano a Trieste e, anziché essere accolti, rifocillati, identificati e rassicurati, come si converrebbe in uno Stato che si richiama a principi cristiani, vengono lasciati liberi di muoversi per l’Italia. Alcuni arrivano all’Aquila, che dista ancora un migliaio di chilometri, e che diventa un centro di approdo e smistamento. Mi chiedo dove vadano tutti gli altri, quanti siano, chi siano. Quanti invisibili sono disseminati in Italia? Sarebbe utile e opportuno creare alla frontiera nord-est un centro come Lampedusa. È questione di civiltà, di sicurezza e di umanità». Di qui l’appello alle istituzioni nazionali: la richiesta è quella di prevedere un centro dedicato lungo la frontiera nord-est, sul modello di Lampedusa, per gestire in modo ordinato i flussi legati alla rotta balcanica, garantendo al tempo stesso controllo, dignità e tutela dei diritti fondamentali. Intanto, il consigliere comunale di Azione, Enrico Verini, invita a evitare contrapposizioni sulla gestione dei migranti e difende i trasferimenti fuori regione, chiedendo anche di smantellare l’eccedenza abitativa del Progetto Case «per non attrarre nuovo disagio da tutta Italia».

©RIPRODUZIONE RISERVATA