L’Aquila, rubate le coperte ai migranti. Il cronista del Centro per una giornata tra gli “ultimi”

Attese, preghiere e pasti caldi: in piazza d’Armi confine invisibile, pakistani e afghani trovano rifugio tra skate park e sottopassi. «Perché siamo qui? Ci hanno detto che le pratiche per l’asilo sono veloci»
L'AQUILA. La domenica ridisegna la geografia di piazza d’Armi. Dove nei giorni feriali si allestisce il mercato, oggi indiani e bengalesi giocano a cricket. Sullo skate park, ragazzi aquilani provano trick e acrobazie. Poco distante, in un campo di terra battuta, un gruppo di giovani migranti aspetta. Sanno che alle 18 apre la mensa dei poveri: lì riceveranno un piatto di pasta, come avviene ogni giorno, anche a colazione e pranzo. Poco dopo il tramonto, uno di loro si inginocchia all’ombra di un albero. Appoggia lo smartphone a terra: una bussola digitale indica la direzione della Mecca. Gli altri lo raggiungono in silenzio. Sono quasi tutti pakistani, tra i 18 e i 25 anni. «Non ci conoscevamo prima» spiegano. «Veniamo dallo stesso Paese, ma da città diverse. Prima dell’Aquila siamo stati a Roma, Napoli, Trieste».
Perché proprio qui? Rispondono senza esitare: «Ce l’hanno detto i nostri connazionali, per messaggio, su TikTok. Ci hanno detto che qui le pratiche per l’asilo sono più veloci rispetto ad altre città, ma sappiamo anche che è questione di fortuna». Niente posti letto. La realtà è questa. Basta spostarsi di qualche centinaio di metri perché l’inquadratura cambi. Su viale Corrado IV passano due ragazzi in bici elettrica con la borsa di Glovo. Pedalano veloci, parlano tra loro: forse una consegna in ritardo. È la stessa città, ma un altro destino: chi è ancora fermo e chi un pezzo di strada lo ha già trovato. Le notti, invece, sono la parte più dura. «Dormiamo nei sottoscala, nel sottopasso vicino alla fontana luminosa, o in un parcheggio seminterrato della questura» raccontano. Abbassano la voce quando aggiungono: «Due volte ci hanno tolto, o rubato le coperte e i cuscini, mentre stavamo cercando un pasto caldo». Tra volontari e residenti c’è chi pensa che qualcuno, semplicemente, non volesse più vederle lì.
Davanti alla prefettura dicono di essere stati ascoltati a lungo dalle forze dell’ordine. «Ci hanno chiesto da dove venivamo, chi avevamo incontrato». Sanno del trasferimento in Calabria dei gruppi arrivati nei giorni precedenti. «A noi hanno detto che questa volta non sarà così semplice: non ci sono posti, nemmeno a livello nazionale, nelle strutture di accoglienza. L’unica è aspettare». Aspettare, fuori. Le temperature non sono più quelle di due o tre settimane fa. All’Aquila, appena il sole tramonta, l’aria si fa fredda e umida. Di notte scende fino a 4 gradi. Felpe leggere, scarpe consumate. «Così ci ammaliamo» dice uno di loro. Mentre nei palazzi istituzionali si cercano “regie” dietro gli arrivi, fuori, nella stessa città, questi ragazzi dormono in un sottopasso a 4 gradi. La mattina, a Roio, durante la messa, il parroco don Osman Prada ha raccolto mele e mandarini per portarle ai giovani a piazza d'Armi.
«Accogliere non è un gesto occasionale. È riconoscere nell'altro il tuo prossimo, tuo fratello o tua sorella» dice. Più volte, del resto, Papa Francesco ha detto che respingere i migranti è peccato grave. Quando la porta della mensa si apre, l’odore della pastasciutta al sugo invade il piazzale. Prima vengono servite le persone già dentro: migranti residenti, anziani soli, persone con un reddito insufficiente. Anche 40, 50 piatti a volta. Solo dopo tocca ai 25 ragazzi arrivati dalla rotta balcanica. Un operatore parla con loro in urdu. Gli afghani che non capiscono ricorrono a Google Traduttore. Un altro usa un'app simile per digitare nella sua lingua e mostra lo schermo. La richiesta è semplice: «Mi puoi dare una coperta? Un cappotto, qualcosa?». Uno di loro stringe il giubbotto leggero e sussurra: «Stringiamo i denti. Aspettiamo. Qui forse cambierà qualcosa». L’aria si fa più fredda. La piazza torna buia. Loro restano.
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