Giustino Parisse: “Bertolaso da generale Custer a diavolo. Usi delicatezza con L’Aquila”

Chi lo osanna per il lavoro post-catastrofe e chi gli imputa sbagli nel pre-sisma. L’errore nell’incontro? Ribadire che la telefonata aveva un significato diverso
L’AQUILA. Quello che è accaduto venerdì pomeriggio nella scuola della Guardia di finanza conferma una cosa che era già ampiamente nota: per L’Aquila e gli aquilani l’ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso, a più di 16 anni da quel 6 aprile del 2009, resta un personaggio divisivo. C’è chi lo osanna (per il lavoro fatto nel post sisma) e chi invece ritiene che nel pre sisma fece poco o nulla per dare alla popolazione, sotto scacco da mesi di scosse, gli strumenti per mettersi quanto più possibile in salvo.
Faccio un paio di premesse. Su questa vicenda chi scrive non è obiettivo. Sono stato parte civile nel processo Grandi rischi (che ha coinvolto i suoi componenti condannati in primo grado e poi assolti in Appello e Cassazione con l’eccezione del vice capo della Protezione civile Bernardo De Bernardinis) e quindi non sono un osservatore super partes. Non ho di contro mai considerato Bertolaso e gli altri degli assassini dei miei figli. Da quel processo non mi aspettavo né auspicavo condanne ma chiarezza sì. Ritengo che la sentenza di primo grado ci ha restituito uno spaccato di verità “storica” che può essere difficilmente confutabile: in quei giorni pre sisma l’obiettivo della Protezione civile fu rassicurare.
Quella “rassicurazione” mediatica fu percepita dal 90 per cento degli aquilani. In questi 16 anni non ho incontrato quasi nessuno che mi abbia detto: io quella notte andai a letto preoccupato. Tanto è vero che pochissimi decisero di dormire fuori o in macchina. Fu un reato quella rassicurazione?
Le sentenze penali (De Bernardinis a parte) ci dicono di no ma ciò non significa che la rassicurazione non ci fu. Qual è stato, se posso permettermi, “l’errore” di Guido Bertolaso nel contesto dell’incontro organizzato dagli alpini? È stato quello di ribadire con “sicumera” – che è un aspetto del suo carattere che forse gli fa persino torto – che quella ormai “famosa” telefonata con l’allora assessore regionale Daniela Stati (30 marzo 2009) aveva un significato completamente diverso da quello che poi le è stata data anche in sede processuale. Le parole chiave di quel colloquio con la Stati “Operazione mediatica” sono state declinate dall’ex capo della Protezione civile nel senso di aver voluto “informare” la popolazione e, l’aver chiamato a consulto la Grandi Rischi in quel 31 marzo 2009, un gesto di responsabilità. Il tutto facendosi scudo con una sentenza che lo assolse nel 2016 da ogni accusa.
Io non c’ero venerdì alla Guardia di Finanza (non perché avessi altri impegni ma per scelta consapevole, forse immaginavo come sarebbe andata a finire). Se ci fossi stato, e soprattutto se mi fosse stato chiesto un parere, avrei ribadito quello che scrissi nel 2016 in una sorta di lettera aperta.
Ne riporto qui alcuni passaggi: «Ma chi è veramente Guido Bertolaso? Nei mesi post sisma lei agli aquilani era apparso una sorta di generale Custer. Giunse all’Aquila subito dopo la battaglia che la città aveva perso con il terremoto e che aveva lasciato sul campo centinaia di vite innocenti. A capo delle truppe della Protezione civile prese in mano la situazione, raccolse i sopravvissuti dando loro un bicchiere d’acqua, un pasto caldo, una coperta, un tetto più o meno provvisorio. Alla maggioranza degli sfollati lei apparve come l’uomo della provvidenza. Ricordo, per averlo visto con i miei occhi, anziani che le si inginocchiavano davanti cercando di baciarle la mano, c’era gente che invocava un suo intervento per poter tornare a lavorare in una struttura provvisoria da realizzare nel giro di 24 ore. Se all’Aquila si fosse votato alla fine del 2009 lei sarebbe stato eletto sindaco per acclamazione. Alcuni Comuni del circondario le hanno dato la cittadinanza onoraria e lo stava per fare anche L’Aquila. Oggi lei da uomo della Provvidenza è diventato Belzebù. Ricordo il 14 agosto del 2009 quando il Centro la intervistò nella scuola della Guardia di finanza e lei promise che si sarebbe fatta chiarezza su tutto quanto accaduto in quella maledetta settimana dal 31 marzo al 6 aprile 2009. Forse non si rende conto (ma in questo purtroppo non è solo) che chi ha pagato il prezzo più alto nella notte del terremoto (e parlo delle vittime e dei loro parenti) ogni volta che sente una non verità o una verità parziale è come se ricevesse un colpo di pugnale al cuore: le ferite si riaprono e il sangue misto a dolore torna a fiottare».
Vede dottor Bertolaso, se fossi stato venerdì alla Scuola della finanza forse le avrei anche stretto la mano. Non ho rancore per nessuno, se non per me in relazione a quello che è accaduto ai miei figli. Una cosa sola mi sarei permesso di dirle. Prendo a prestito l’ultima scena del film, Angeli e Demoni, quando il camerlengo della Chiesa cattolica si rivolge all’eroe del film e afferma: «Quando parlerà di noi, e lei parlerà di noi, lo faccia con delicatezza».
Ecco, dottor Bertolaso, da oggi in poi quando parlerà degli aquilani usi delicatezza. Non le chiedo di più. Le parole “sbagliate” possono ferire più dei sassi e della polvere delle macerie.
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