Piazza San Bartolomeocuore pulsante della città

AVEZZANO. Piazza San Bartolomeo era chiamata anticamente Piazza del Pantano perché nei tempi remoti, evidentemente, c’era uno dei numerosi acquitrini (pantani) di cui Avezzano era ricchissima. Altri sostengono, però, che il nome derivi dal fatto che, nei secoli trascorsi, spesso il Fucino inondava parte di Avezzano fino a raggiungere il luogo ove si ergeva il tempio.

Nello spazio antistante le acque ristagnavano, poiché non avevano possibilità di fluire a valle e, di conseguenza, formavano un pantano fino alla loro definitiva evaporazione. Scrive il Corsignani: «...tali ville (le 17 località, gli abitanti delle quali concorsero, successivamente, a fondare Avezzano) situate allora in campo aperto, erano soggette alle continue invasioni dei masnadieri: per questo motivo i loro abitatori si unirono insieme, e colla gente della riferita Colonia di Albe, la menzionata Terra di Avezzano fornirono, la quale nel proprio sito della detta Villa di Pantano, fu edificata, e dove appunto era edificato il Tempio al Dio Giano, onde la detta villa ebbe il suo nome di Pantano, quasi Pantheon Jani».

La fantasiosa ipotesi del Corsignani è stata in epoca recente contestata da Giuseppe Grossi e Walter Cianciusi i quali, in modo sicuramente più documentato, hanno dimostrato come il nome derivi dalla famiglia Vezzia che da Roma si era qui trasferita forse in occasione dei primi lavori di prosciugamento del Lago Fucino.

Ancora oggi Piazza San Bartolomeo, risistemata in occasione del 50º anniversario del terremoto del 13 gennaio 1965, è detta, giustamente, del Pantano. Piazza San Bartolomeo era considerata una specie di passerella serale: la coppia di fidanzati guardati a vista dagli arcigni genitori di lei, la signora appartenente alla borghesia terriera pronta ad esibire il suo ultimo tallieur, gli spasimanti che consumavano scarpe nel monotono andirivieni nella segreta speranza di essere notati dalla ragazza agognata, il sensale o mediatore (con calze rosse e calzoni alla zuava) nell’attesa dei clienti, il signorotto con il suo panciotto e la sua paglietta acquistata per due lire e mezza al negozio di Modestino Seritti.

La piazza era così chiamata, poiché al suo centro si ergeva la chiesa omonima, sorta su un antico tempio pagano. L’edificio sacro era a tre navate ed aveva, lateralmente, il campanile, la base del quale ancora oggi è ben visibile. L’interno conteneva, oltre a quello maggiore, ben undici altari minori arricchiti da dipinti.

Dietro l’altare maggiore c’era la sacrestia, la Casa della Compagnia di San Rocco, l’Oratorio e la Casa della Compagnia del Santissimo Sacramento e un piccolo sito scoperto dove si suonano le campane. Si trovava, adiacente, anche un piccolo cimitero ove, fino all’editto napoleonico di Saint-Cloud, venivano inumate le salme degli avezzanesi. Uscendo dalla chiesa, sulla destra, s’incontrava prima l’edificio che ospitava le Suore Trinitarie, poi una delle tre farmacie avezzanesi posta al piano terra del Palazzo Marimpietri, che accoglieva anche la Sottoprefettura. La farmacia era gestita dal proprietario, il popolare don Fedele De Bernardinis.

La parte antistante la Chiesa di San Bartolomeo era delimitata da colonnine in pietra, tre delle quali sono ancora visibili nell’attuale Largo Pantano, sulle quali i ragazzi si divertivano con il popolare gioco detto «Zomba la quàjia». La piazza era circondata da una serie di superbi palazzi tra i quali quello del Rebecchino, sede di un circolo ricreativo dei benestanti della città: avanti, spesso, veniva eretto un palco ove si esibiva la famosa banda musicale d Emidio Castrucci.

Nella Piazza San Bartolomeo svolgeva la sua opera di scrivano un certo Gaetano Ferrari, figlio di Cassio, nato nel 1868 a Lama dei Peligni e morto ad Avezzano il primo novembre 1925, nella baracca posta in Via Pace (l’odierna Via Mazzini). Cassio, trasferitosi ad Avezzano intorno al 1880, era un impiegato e gli impiegati allora erano annoverati tra i notabili del paese. Il loro nome, pertanto, era preceduto dal Don in segno di rispetto. Per indicare che Gaetanuccio era il figlio di don Cassio, si diceva Gaetanùcce de Don Càssie: in seguito, come spesso accade, caduto il de rimase Gaetanùcce Don Càssie.

Cassio Ferrari, impiegato nella costruzione della ferrovia Roma-Sulmona (che fu inaugurata nel 1888), morì qualche mese prima che la linea fosse inaugurata.
 Il lavoro di Gaetanùcce consisteva nello scrivere lettere per chi ignorava l’alfabeto e analfabetismo era una grave piaga della società. Il popolare personaggio era solito ammonire i passanti con la ricorrente espressione: «Sante Middie revè’ sèmbre» (Sant’ Emidio, protettore dei terremotati, torna sempre; ovvero il terremoto, prima o poi, ci flagellerà nuovamente).

Alle 7,53 della tragica mattina del 13 gennaio 1915, infatti, un terribile cataclisma cancellò in un attimo Avezzano, la farmacia di don Fedele, la Chiesa, il Palazzo del Rebecchino: Piazza San Bartolomeo fu, in pochi secondi, ridotta a un cumulo informe di macerie. Su impulso di Luigi Marino, appartenente ad antica e notabile famiglia avezzanese, con il concorso del Comune e la Sovrintendenza ha recentemente realizzato degli scavi per riportare alla luce le vestigia di quella che fu la Chiesa di San Bartolomeo.