Porta Barete anche l’Archeoclub chiede il recupero

La presidente Acone: «Il progetto è l’unico modo possibile per rimediare a uno dei più gravi scempi urbanistici»

L’AQUILA. «Porta Barete simbolo di una nuova cultura». Il piano di recupero di questa zona della città sta suscitando interesse vieppiù crescente. A tal proposito si registra l’intervento di Maria Rita Acone, presidente dell’Archeoclub d’Italia sede dell’Aquila.

«Nel 1823», scrive Acone, «su progetto di Giovanni Oberti, si propone una nuova sistemazione dell’ingresso Ovest della città. Dal disegno (da Antonini 2012) si può rilevare come la nuova Porta Barete si dovesse posizionare in stile neoclassico dove ora si trova il cavalcavia su via Vicentini in sostituzione di ciò che restava dell’antica porta il cui antemurale con una delle torri è ancora in parte visibile. Un progetto che oggi appare come l’unico tentativo di porre rimedio a uno degli scempi urbanistici più incredibili della nostra storia cittadina. Iniziato nell’800, fu perpetuato e reso ancor più irrimediabile nel ’900, con le costruzioni sorte sul vasto terrapieno che aveva del tutto snaturato questo tratto delle Mura Civiche, distruggendo la più importante porta della cinta medievale».

«Nelle antiche carte», prosegue la presidente dell’Archeoclub dell’Aquila, «l’imponenza della struttura è ben apprezzabile con porta, anti porta e bastioni. Rappresentava uno degli ingressi principali della città e, insieme a Porta Bazzano e ai due antichi hospitali di Santo Spirito e San Matteo, rimaneva quale testimonianza di un percorso viario preesistente alla costruzione dell’Aquila».

«Esigenze e spinte sociali diversificate, quali la necessità di un collegamento diretto tra via Roma, principale asse viario cittadino prima delle modifiche ottocentesche, con la nuova strada di collegamento con Roma o più tardi l’idea di una nuova città con vasti quartieri costruiti a ridosso della cinta muraria che aveva perso ogni significato funzionale o simbolico senza acquisire ancora lo status di monumento e ricchezza da utilizzare e conservare, hanno nei due secoli passati alterato il profilo urbanistico dell’Aquila medievale in questa come in altre parti della città».

«Oggi», argomenta Acone, «l’opera di ricostruzione dovrebbe poter porre rimedio, per quanto possibile, alle perdite subite e ricreare ambiti urbani in cui bellezza e armonia siano i fini da perseguire. Se del passato possiamo analizzare motivazioni e spinte culturali, dobbiamo ora chiederci, nel tentativo di evitare errori che possano pesare fortemente sul futuro dell’Aquila, quali siano le migliori scelte, quale cultura vogliamo mettere in campo. Bellezza e armonia dal punto di vista urbanistico dovrebbero essere perseguite con forza, non in nome di un valore astratto, ma in quanto necessarie al benessere e alla qualità di vita dei cittadini e in quanto utili per la nuova economia dell’Aquila che vede nell’innovazione, nell’Università e nel turismo i suoi futuri capisaldi. Armonia non solo nelle strutture, ma anche in nuove forme di convivenza della comunità cittadina. È infatti fondamentale superare inutili discussioni o sterili prese di posizione che non comportano certamente un concreto raggiungimento del Bene Comune. Se può rappresentare un’utopia l’idea di una città che concorda su tutto, non può invece e non deve essere considerata utopia una città che con percorsi codificati dalle attuali scienze sociali discuta concretamente su progetti urbani e non solo, sulle proprie aspirazioni, sui metodi per realizzarle».

«Oggi si parla di Porta Barete e dell’area circostante che, non dimentichiamo, comprende anche la chiesa di Santa Croce con il perduto monastero e la chiesa di San Paolo oltre, ovviamente, l’intera cinta muraria. Quest'ultima, come più volte ribadito e scritto, va interamente recuperata e resa nuovamente parte della città vissuta con un percorso pedonale dotato di aree verdi e monumentali che, attraverso le tante Porte, ricrei un importante collegamento tra Centro Storico e territorio».

«Non basta un dibattito sui media per questa e per le altre zone in cui si dovrà non solo ricostruire, ma anche recuperare sicurezza e bellezza architettonica», sostiene l’esponente dell’Archeoclub. «Occorre anche creare con urgenza un luogo fisico e non solo virtuale in cui con trasparenza i progetti vengano presentati e arricchiti dalle idee di chiunque voglia costruttivamente partecipare attraverso procedure strutturate che consentano il raggiungimento di soluzioni il più possibile condivise».

«Se si riuscirà a sviluppare al più presto questa diversa Cultura», afferma in conclusione Acone, «allora potremo affermare che la nostra è una città in grado di rappresentare nel 2019 le città europee perché avrà saputo modificare la Cultura intesa come insieme di idee e attività che consentono all’Umanità di progredire non solo nella vita fatta di cose, ma anche in quella costruita sulle idee e le relazioni sociali».

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