Porta Barete residenti contrari al trasferimento

Costituito un comitato pronto a dare battaglia al Comune Cialente aspetta le verifiche della Soprintendenza

L’AQUILA. Si sono presentati al Comune per cercare di avere, direttamente dal sindaco MassimoCialente, le risposte alle tante domande (e alle altrettante perplessità) sull’ipotesi progettuale per Porta Barete. Ma il sindaco ha rinviato la discussione, chiedendo ai residenti della zona, in particolare ai proprietari del palazzo in demolizione che «rischia» di non essere ricostruito, 20 giorni di tempo per dar modo alla Soprintendenza di fare le necessarie verifiche.

Un incontro che ha lasciato totalmente insoddisfatti i residenti della zona di via Roma-via Santa Croce che nei giorni scorsi hanno dato vita a un comitato.

«I residenti si sono ritrovati recentemente coinvolti, a loro insaputa, in una vicenda nata repentinamente sulla stampa circa un mese e mezzo fa e diventata oggetto di continue dichiarazioni, anche gravi e vessatorie, da parte di amministratori pubblici. Hanno appreso dai giornali», si legge in una lunga nota del comitato, «di un presunto ripristino di una porta che non esiste più e della completa eliminazione della principale via di accesso al centro storico della città. Il tutto senza alcuna consultazione e in totale mancanza di trasparenza e di pianificazione urbanistica complessiva. Nessuno ha contattato i residenti, eppure sulle loro case, sui loro spazi sono state fatte in tutta fretta le più fantasiose ipotesi. I residenti si sono trovati in questi giorni più volte verbalmente delocalizzati, spostati, diremmo deportati. Gli amministratori comunali hanno dimenticato che i residenti non sono entità astratte, ma proprietari in attesa di rientrare a casa dopo anni di sofferenza e che hanno finalmente ricevuto il contributo per la ricostruzione da quella stessa amministrazione cittadina che ora sta pensando di fare “altro” di quelle abitazioni di proprietà».

Una corposa lettera, con un nutrito elenco di domande da «girare» alla giunta Cialente.

«Perché solo ora, visto che i progetti sono rimasti bloccati per mesi e mesi, gli amministratori comunali improvvisano nuove idee senza pianificazione preventiva né condivisione? Si legge sulla stampa che alcuni edifici, nelle intenzioni della giunta, dovrebbero essere demoliti per sempre e mai più ricostruiti. È vero? E dopo la deportazione forzata quale dovrebbe essere la nuova localizzazione? In tal caso, come potranno essere recuperati i soldi già spesi nella ricostruzione senza gravare sulle casse pubbliche?».

E ancora, il comitato dei residenti chiede di sapere «chi pagherà i danni materiali, morali e biologici ai proprietari deportati e i costi dei nuovi necessari progetti».

Quindi la questione delle imprese. «Chi risarcirà le ditte in caso di contenzioso economico, considerando che i lavori sono già iniziati? E come verrà giustificato l’impiego di tanto denaro pubblico per rimediare a una mancata o tardiva progettazione e pianificazione di un intervento di recupero che arriverebbe fuori tempo massimo, dopo l’assegnazione di un contributo per la ricostruzione, atteso dai proprietari per oltre quattro anni, e dopo l’inizio dei lavori?».

I residenti chiedono, inoltre, di conoscere la data di conclusione del lungo iter dei progetti dell’area di Santa Croce che ancora non hanno ricevuto il contributo, nonostante riguardino edifici in area a breve.

E vogliono sapere, «in caso di delocalizzazione forzata delle abitazioni, oltre ai costi, chi può garantire che il rientro a casa dei cittadini deportati potrà avvenire nei tempi previsti. Ciò perché, in caso di ritardo, bisognerà fronteggiare anche l’ulteriore danno erariale per l’assistenza alla popolazione di tante famiglie di residenti in attesa».

In quanto poi alla riqualificazione della città, il comitato chiede «quali altri progetti si pensa di realizzare e se, continuando con studi e proposte a macchia di leopardo, quali nuove delocalizzazioni bisognerà attendersi, in quali luoghi e a chi toccherà».

Domande a parte, cosa certa è che i residenti intendono portare avanti i lavori. E tirano fuori i contratti sottoscritti con imprese e progettisti «che», affermano, «siamo tenuti a rispettare».

«Si tratta di progetti approvati e finanziati dopo un lungo esame», insistono. «Per questo sono intollerabili ulteriori ritardi e modifiche che richiederebbero ulteriori interventi. L’impressione è che non è possibile giustificare questo costoso, parziale e incompleto intervento di cui si parla. Tanto più mancando del recupero esterno delle mura ed essendo in contrasto con quanto recentemente approvato, e in via di esecuzione, in quell’area. Sembra proprio che la montagna abbia partorito il topolino e che il piano complessivo per una città più bella si sia ridotto alla rimozione di uno o due edifici, alla riapertura di una presunta antiporta con ricostruzione ex novo di una porzione di mura che non esiste e alla realizzazione di un parcheggio asfaltato al posto di via Roma, accanto a un grande edificio bianco che coprirebbe qualsiasi visuale della presunta antiporta. Dov’è il sogno di una città più bella? Al turista che tra alcuni anni uscirà dal centro storico attraversando l’antiporta, circondata dal traffico e dai parcheggi, gli apparirà di fronte l’imponente sagoma di un ingombrante edificio di quattro piani. Un edificio che impedirà la fruizione della porta e che svilirà ogni tentativo di recupero storico dal costo di svariati milioni di euro».

Sin qui i residenti, decisi a tornare a vivere nello stesso posto lasciato precipitosamente la notte del 6 aprile del 2009.

Intanto, il Comune aspetta un segnale «forte e chiaro» dalla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici. O meglio uno studio di fattibilità – così come richiesto ufficialmente dall’assessore Pietro Di Stefano – sull’intervento di recupero di Porta Barete che comprenderà la rimozione del ponte di via Vicentini e del terrapieno di via Roma fino a via dei Marsi.

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