Professore arrestato in Albania: tre mesi per chiudere le indagini

Intrigo internazionale attorno alla vicenda di Michele D’Angelo, il docente dell’Università dell’Aquila prigioniero in Albania dopo un incidente stradale
L’AQUILA. Tre mesi per la conclusione delle indagini. È questo il termine stabilito dalla legge albanese entro il quale la Procura di Fier dovrà chiudere l’inchiesta sull’incidente stradale di “Qafa e Kosovicës” che l’8 agosto ha portato all’arresto di Michele D’Angelo, professore di Biologia dell’Università dell’Aquila, stimato accademico con una lunga carriera di ricerca e insegnamento. Tre mesi che rappresentano non soltanto un limite temporale, ma anche un tempo sospeso per il docente, costretto a rimanere in Albania nell’attesa che la giustizia faccia il suo corso.
Secondo quanto chiarisce il suo avvocato difensore, Toto Avdiaj, la posizione della magistratura albanese appare netta: «Il processo deve svolgersi qui, perché qui è iniziata l’inchiesta e qui si è verificato l’incidente automobilistico». Una presa di posizione che stride apertamente con l’appello delle autorità italiane, con il parlamentare Luciano D’Alfonso che ha telefonato personalmente al presidente della Repubblica d’Albania, Bajram Begaj, affinché vengano sollecitate misure alternative alla detenzione e il rientro immediato in Italia del professore.
Intorno al caso, infatti, si è levata una mobilitazione crescente. La Farnesina segue con attenzione lo sviluppo della vicenda, mentre l’Ambasciata italiana a Tirana è impegnata in un delicato lavoro di collegamento tra i familiari del docente e le autorità giudiziarie albanesi.
A sostegno di D’Angelo si sono espressi anche i vertici accademici dell’Aquila e numerosi esponenti politici, convinti che la misura cautelare sia sproporzionata rispetto alla gravità delle accuse e alla condotta personale del professore. L’incidente stradale, per il quale Michele D’Angelo è rinchiuso in carcere è avvenuto la sera dell’8 agosto e ha coinvolto la Lancia Ypsilon guidata dal professore e una Mercedes bianca condotta dal cittadino albanese E. S., 44 anni, residente a Patos, sospettato di aver perso il controllo del veicolo mentre viaggiava ad alta velocità. L’auto si è ribaltata e successivamente ha preso fuoco. Dopo l’impatto, la coppia ha atteso invano l’arrivo delle autorità per essere ascoltata, così come i testimoni. Non vedendo giungere nessuno, ha deciso di recarsi direttamente al commissariato, che però risultava già chiuso dal primo pomeriggio. Il mattino seguente, sempre in totale autonomia, Michele D’Angelo e Vanessa Castelli — che si trovavano in Albania per partecipare a un matrimonio — si sono ripresentati spontaneamente al commissariato per raccontare la loro versione dei fatti, ignari di cosa sarebbe accaduto poi.
Nel frattempo, Michele D’Angelo resta rinchiuso da 50 giorni nell’ Institutin e Ekzekutimit te Vendimeve Penale (IEVP) di Fier, il grande carcere della città, dove affronta giorni segnati dall’incertezza, dal peso dell’accusa e da un isolamento che rischia di logorarlo psicologicamente.
Una vicenda giudiziaria ancora tutta da definire che continua a scuotere l’opinione pubblica sia in Italia sia in Albania, sollevando interrogativi sul trattamento riservato a un docente di fama internazionale e sulle possibilità concrete di ottenere misure alternative alla detenzione. Intanto oggi la compagna, Vanessa Castelli, tornerà in Albania per incontrare D’Angelo nella visita programmata per domani. Sarà per il professore un momento di sollievo in giornate segnate da difficili condizioni di isolamento, aggravate dalle barriere linguistiche che rendono complicato comunicare con chiarezza con i funzionari penitenziari. Un isolamento che lui stesso, in messaggi audio inviati alla compagna e forniti al Centro, ha definito «un tormento».
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