Resta chiusa in reparto e muore:  indagato infermiere sulmonese 

La donna di 65 anni era ricoverata in Terapia intensiva all’ex G8 dell’Aquila, ebbe una crisi respiratoria Il 44enne uscì per chiamare un medico, ma la porta si bloccò. Ora è accusato di omicidio colposo

SULMONA. Si sarebbe allontanato per alcuni secondi dal capezzale della paziente per chiamare il medico. Appena uscito fuori dalla stanza, però, l’unica porta di accesso al reparto di Terapia intensiva Covid dell’ospedale dell’Aquila sarebbe rimasta bloccata. Prima di riuscire ad aprirla sono trascorsi venti minuti, nel frattempo la paziente è morta. Secondo l’accusa l’infermiere in servizio non avrebbe dovuto abbandonare la stanza, tanto da contestargli il reato di omicidio colposo. A finire indagato è P.C., infermiere sulmonese di 44 anni, che all’inizio del 2020 aveva accettato il trasferimento nell’ospedale dell’Aquila proprio per prestare la sua opera alle persone che avevano contratto la forma più grave del virus. Un infermiere che tutti descrivono come dipendente modello. Nei giorni scorsi il 44enne ha ricevuto dalla procura del tribunale dell’Aquila l’avviso di conclusione delle indagini e l’invito a produrre le memorie difensive. Una vicenda giudiziaria che per molti colleghi dell’ospedale e per il legale dell’infermiere, l’avvocato Alessandro Scelli, ha dell’incredibile. Non per la procura aquilana, che vuole andare fino in fondo, tanto che dopo la conclusione delle indagini ha formalmente accusato l’infermiere di omicidio colposo.
LA VICENDA
La storia risale all’ottobre del 2020, quando una paziente di 65 anni fu ricoverata nell’allora reparto Covid dell’Aquila ex G8. All’inizio le sue condizioni erano critiche poi, con il passare dei giorni andavano via via migliorando. Fino al 3 novembre, quando però il suo respiro si fece più pesante e difficoltoso, tanto da indurre l’infermiere, come ricostruito, a lasciare momentaneamente la paziente per andare ad avvisare il medico della situazione critica. Ma appena uscito fuori dalla stanza, la porta, l’unica che dava la possibilità di accedere al reparto di Terapia intensiva, rimase bloccata. A nulla servirono i tentativi del medico e dell’infermiere sulmonese di rientrare nella stanza. La riapertura arrivò solo grazie all’intervento di un operaio specializzato, che dopo una ventina di minuti riuscì a sbloccare la serratura. Troppo tardi, perché quando i sanitari entrarono nella stanza la donna era già morta.
LA DENUNCIA
Trascorsi due mesi dal decesso, i parenti della donna presentarono una denuncia contro ignoti, chiedendo di far piena luce sulla morte della congiunta. Così fu aperta un’inchiesta e tutte le responsabilità sono poi ricadute sull’infermiere che, secondo la procura, non doveva lasciare la paziente da sola. Di parere contrario il difensore dell’infermiere, secondo il quale il suo assistito sarebbe totalmente estraneo alle accuse.
L’ACCUSA
Acquisite le cartelle cliniche della paziente, il sostituto procuratore del tribunale dell’Aquila Marco Maria Cellini aprì un fascicolo contro ignoti disponendo la riesumazione della salma e incaricando il medico legale di svolgere l’autopsia, ma senza notificare contestazioni e avvisi di garanzia. A ricevere il 415bis, a quasi due anni dai fatti è stato l’infermiere di Sulmona, secondo la procura aquilana unico responsabile del decesso della donna, tanto da contestargli l’omicidio colposo.
LA DIFESA
Il legale dell’infermiere che lo difende: «Sembra strano che venga indagato un infermiere professionale pluriqualificato, tra l’altro temporaneamente impiegato presso la struttura ospedaliera aquilana, infermiere che non aveva alcun compito di controllo sul funzionamento o meno di una porta. Lui era uscito dalla stanza per avvisare il medico, non poteva mai immaginare che la porta del reparto sarebbe rimasta bloccata».
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