Sulmona, Grassonelli: mia madre non dovrà vergognarsi di me

L’autore “Malerba” parla dal carcere dopo aver vinto il premio Sciascia insieme al giornalista del Tg5 Carmelo Sardo

SULMONA. «Dedico questo premio a mia madre perché per la prima volta non dovrà vergognarsi di suo figlio». Così, questa mattina Giuseppe Grassonelli, l'ergastolano vincitore insieme al giornalista del Tg5 Carmelo Sardo, del Premio Sciascia-Racalmare nel corso dell'incontro con la stampa e con gli studenti che si è tenuto nel carcere di Sulmona dove, per la prima volta, ha parlato del suo libro autobiografico «Malerba» e della sua condizione di condannato al carcere a vita. Un incontro ricco di contenuti e a tratti drammatico. «Ai giovani dico di non fare nulla che possa determinare la privazione della libertà - ha detto Grassonelli, davanti anche a una folta rappresentanza di detenuti, che come lui, stanno scontando l'ergastolo - perchè la libertà è il nostro bene più prezioso. Un detenuto vive, ma non ha un'esistenza. Vive senza la libertà di andare al mare, di uscire la sera per una pizza, di ridere con gli amici, di fare l'amore: la nostra è una vita senza esistenza. Per questo dico che una vita senza esistenza non è degna di essere vissuta».

Grassonelli che negli anni 80 era a capo della Stidda di Porto Empedocle (Ag), pur non essendosi mai pentito dei tanti crimini compiuti, ha voluto evidenziare il periodo sociale in cui quei crimini sono stati commessi e il percorso intrapreso in carcere che l'ha portato a chiedere scusa dopo aver conseguito la laurea in Lettere e Filosofia. «Sono stato figlio di una società che era basata sulla violenza, che non riconosceva lo Stato e che si faceva giustizia da sè. Una società che oggi non è più la stessa così come Giuseppe Grassonelli non è più lo stesso. Non posso restituire la vita a chi l'ho tolta, ma quello che ho fatto, il male che ho fatto lo sto pagando con la mia vita, con la privazione della mia libertà». Alla domanda di come un ergastolano possa dare un senso al proprio futuro, Grassonelli ha risposto: «Bisogna evitare la ripetitività della vita detentiva e trasformarla in una sorta di studio di se stessi. Bisogna rinunciare alle consuetudini che portano alla morte psicologica di una persona. Ma attenzione: cambiamento non significa gettare via i propri valori; significa meditare e riflettere perchè non tutto in quello che si fa e che si è fatto è da buttare via».

Il detenuto siciliano ha poi tenuto ad evidenziare l'evoluzione e il cambiamento in atto negli ultimi anni nelle carceri italiane. «Sono orgoglioso dei miei compagni che come me hanno deciso di studiare, che si danno da fare per riscattarsi attraverso la conoscenza. Ma tanto merito va riconosciuto a chi dirige questo carcere. Una persona veramente in gamba che ci ha mostrato un volto diverso dello Stato. Uno Stato che finalmente ci sorride che ci tratta come esseri umani. Se 22 anni fa avessi conosciuto una persona del genere, probabilmente mi sarei pentito». Commentando le polemiche che hanno accompagnato l'assegnazione del premio Sciascia a un libro scritto da un ergastolano che si è macchiato di tanti crimini di mafia, Grassonelli ha replicato: «La mia storia mi ha insegnato a rispettare tutte le sentenze: sia quella con che mi ha condannato all'ergastolo, sia quella con cui una giuria popolare ha voluto la mia vittoria al premio letterario. Vincere il premio intitolato a Leonardo Sciascia è stata per me una cosa troppo grande. Non solo ho letto i suoi libri ma li ho anche studiati e il messaggio che emerge dai suoi scritti è un invito al sapere, al riscatto sociale attraverso la conoscenza. E il percorso fatto in carcere è strettamente legato all'acquisizione di un sapere e di un'apertura mentale che prima non avevo».

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