Tancredi al gip: niente estorsione era un pagamento tramite fattura

Inchiesta puntellamenti, l’ex assessore esibisce un atto che per i suoi legali farebbe cadere il reato Negano le accuse anche gli imprenditori coinvolti. Domani si decide sulla revoca degli arresti

L’AQUILA. Una fattura per dimostrare come il pagamento dei 3mila euro chiesti all’imprenditore Polisini sia il corrispettivo di una prestazione professionale. Questa la carta che la difesa di Pierluigi Tancredi, professando la sua innocenza, si è giocata ieri nel corso dell’interrogatorio di garanzia per l’inchiesta Redde rationem su presunte mazzette nei puntellamenti in centro.

TANCREDI. La contestazione più grave riguarda presunte minacce dell’ex assessore di Forza Italia al costruttore Andrea Polisini. Il documento cartaceo è stato esibito a sostegno della tesi che quella somma non è stata estorta ma pagata come prestazione professionale. Secondo la difesa, sostenuta dagli avvocati Antonio Milo e Maurizio Dionisio, non avrebbe senso contabilizzare un tale documento, facilmente rintracciabile, nell’ipotesi di rapporti illeciti.

Inoltre è stato sostenuto che Polisini e Tancredi non si incontravano dallo scorso mese di gennaio. «Tancredi ha risposto a tutte le domande del magistrato rigettando ogni accusa e ribadendo la propria innocenza». Questo è stato il commento dell’avvocato Milo alla fine dell’interrogatorio. Naturalmente è stata chiesta l’attenuazione della misura cautelare anche in relazione al fatto che Tancredi era stato ascoltato più volte, in passato, dal pm e non si era mai sottratto alle domande.

Ieri Tancredi, molto scosso e provato per questa misura cautelare domiciliare che non si aspettava, è rimasto davanti ai giudici per circa un’ora.

Quanto poi alle richieste di soldi avanzate dall’accusato a Giancarlo Di Persio e Mauro Pellegrini, in un momento di crisi economica, gli avvocati interpretano le intercettazioni come una sorta di invocazione di aiuto ma senza la reale volontà, anche visti i buoni rapporti, di un «male ingiusto». Comunque gli stessi avvocati hanno fornito delle tracce alla Procura sulle quali sono stati chiesti approfondimenti.

GLI ALTRI Più breve l’interrogatorio di Mauro Pellegrini, uno dei due soci della Dipe.

«L’audizione è stata soddisfacente», ha dichiarato l’avvocato Massimo Carosi. «Abbiamo reso spiegazioni anche su cose che non ci venivano richieste e credo che abbiamo contribuito a fare chiarezza su questa vicenda che in realtà non è molto ingarbugliata».

L’altro socio della Dipe, Giancarlo Di Persio, si è avvalso della facoltà di non rispondere e il suo avvocato Riccardo Lopardi ne ha chiarito la ragione. «Abbiamo scelto di non rispondere», ha detto, «visto che riteniamo di non aver niente da temere. Del resto è un’inchiesta che è in piedi dal 2010 per cui era stata già fatta una richiesta di archiviazione e quindi riteniamo che in realtà non ci siano stati elementi ulteriori». «Per quanto riguarda la perizia che è stata disposta dal pm», ha aggiunto, «si tratta di un esame di parte che lascia il tempo che trova. Vedremo quali saranno gli sviluppi della causa. In caso dovesse servire, faremo una perizia in contraddittorio, anche perché non è facile, a distanza di anni, dire cosa è stato fatto senza che ci sia il concorso di chi ha fatto quei lavori». La consulenza svolta dai Ctu, in particolare, porta a concludere che ci sarebbero state delle sovrafaturazioni per alcuni lavori. Ma secondo Lopardi i puntellamenti sono stati fatti a regola d’arte e i lavori sono stati ottenuti non grazie a favori politici ma per il fatto che l’azienda era nella white list.

L’avvocato Fabrizio Acronzio, legale dell’imprenditore Maurizio Polisini, ha sottolineato che il suo assistito ha respinto ogni addebito; Gennaro Lettieri, avvocato di Andrea Polisini, figlio di Maurizio, ha spiegato che «i pochi rapporti avuti con gli altri indagati sono trasparenti e regolari».

«Poi, per quanto riguarda i rapporti commerciali, sono legali, come riconosciuto dallo stesso pm», ha spiegato ancora l’avvocato teramano. «Inoltre, abbiamo chiarito il senso delle intercettazioni».

Nicola Santoro, 34 anni, aquilano, intermediario d’affari, dirigente dell’Aquila calcio, è l’unico tra quelli colpiti da misura cautelare ad aver evitato l’arresto. Gli è stato dato solo l’obbligo di dimora e di firma. Anche lui, assistito dagli avvocati Stefano Rossi e Leonardo Arnese, ha contestato le accuse sostenendo di vivere a Roma e di avere solo saltuari contatti con L’Aquila, Tancredi e gli altri. Secondo l’accusa avrebbe dovuto essere una solta di alter ego di Tancredi, ma lui nega. Anzi, ha già inoltrato ricorso addirittura al Riesame. RICORSI. Domani, una volta reso noto il parere del pm, il giudice deciderà sulle misure cautelari di cui si è chiesta la revoca. Avvocati e accusa, inoltre, sono sembrati d’accordo nella rilettura, almeno parziale, di alcune intercettazioni.

SIPARIETTO. Prima degli interrogatori il gip si è raccomandato con gli avvocati, visto che non vi erano uscieri, di evitare il contatto con i sospettati. «L’unica cosa che potrò fare», ha risposto l’avvocato Carosi, anche per sdrammatizzare, «sarà quella di frappormi io stesso tra loro in modo da assicurare il rispetto della legge».

INDAGINI. Ci vorrà tempo ma l’impressione è che le indagini non sono finite qui. Nessuno è in grado di escludere che nel prosieguo altre persone possano essere in qualche modo coinvolte. Lo stesso procuratore Cardella lo ha lasciato intendere.

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