Tasse da restituire la vertenza approda in Cassazione

In causa Abruzzo Enginering e Agenzia delle Entrate Fiducia per il doppio sì in sede di commissione tributaria

L’AQUILA. La restituzione totale o meno delle tasse, tributi e contributi sospesi dopo il sisma passa per la Corte di Cassazione. Saranno gli «ermellini» a dire la parola definitiva quando, tra breve, sarà presa la decisione su una controversia tra l’Agenzia delle Entrate, rappresentata dall’Avvocatura dello Stato e la società Abruzzo Engineering. La sentenza della Cassazione è importante in quanto decisione «pilota» su una questione che riguarda molte aziende e contribuenti con in ballo centinaia di milioni.

Secondo la legge in vigore occorre restituire una somma ridotta e rateizzata. Secondo l’Agenzia delle Entrate bisogna ridare tutto. Nei due giudizi precedenti, davanti alle commissioni tributarie, le pretese dell’Agenzia sono state sempre bocciate.

Abruzzo Engineering, che comunque è in liquidazione, ha affidato la tutela dei propri interessi (si tratta di un importo di quasi due milioni di euro) all’avvocato Maurizio Dionisio, il quale ha presentato un controricorso.

«L’ufficio finanziario», è scritto nel ricorso di Dionisio, «indica quale motivo di doglianza l’inosservanza della Commissione tributaria regionale, al pari dei giudici di primo grado, del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, rilevato che i medesimi hanno statuito su una questione non prospettata da Abruzzo Engineering, e comunque estranea ai fatti di causa. Ma tale doglianza è priva di pregio giuridico e non ha prospettive di accoglimento. Infatti, sia la commissione provinciale che quella regionale hanno ritenuto che la cartella impugnata non fosse idonea a produrre gli effetti conseguenti alla notifica in quanto priva dell’intimazione di pagamento e del pregiudizio concreto per il contribuente».

«Avvalendoci di un esempio mutuato dalle esecuzioni civili», si legge nel ricorso, «la questione è simile a quella di un atto di precetto privo di richiesta di dare o fare con conseguente minaccia di procedere forzatamente. Prescindendo, comunque, anche da tali argomentazioni, questa difesa non ritiene condivisibile l’interpretazione dell’Avvocatura dello Stato del concetto di rilevabilità d’ufficio considerato che i giudici tributari non possono sottrarsi alla valutazione circa la validità del diritto attivato e conseguente documento che lo rappresenta».

«L’ufficio finanziario», è scritto nel ricorso, «ha difeso fermamente la validità della cartella impugnata non ritenendo elemento essenziale della stessa l’intimazione di pagamento. La tesi non convince e la conseguente infondatezza è stata di recente affermata dalla Cassazione. In tale sede i giudici, analizzando nel particolare la cartella, quale atto della riscossione, hanno ribadito che la stessa deve contenere (nei riguardi del debitore iscritto a ruolo) l’intimazione ad adempiere lo specifico obbligo risultante dal titolo».

«È di tutta evidenza», si legge ancora nel ricorso, «che la cartella oggetto del ricorso non ha le caratteristiche non contenendo intimazione alcuna o un invito bonario al pagamento». In secondo grado la commissione ritenne le pretese del Fisco «infondate in radice». Una motivazione molto esplicita che lascia sperare in una conferma di quella decisione.

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