UNA GUIDA AUTOREVOLE PER LA DIOCESI DELL'AQUILA

8 Luglio 2013

 

Quando il corteo con in testa la Croce si stava avviando verso l'altare per la celebrazione della messa solenne in occasione dell'inizio del ministero pastorale del nuovo arcivescovo dell'Aquila monsignor Giuseppe Petrocchi, il colpo sordo di un tuono è rimbalzato fra le mura ferite della basilica di Collemaggio . Uno scroscio di pioggia ha tagliuzzato per circa mezzora i raggi del sole picchiettando forte sulla copertura dell'edificio sacro quasi a voler ricordare la provvisorietà in cui la scossa delle 3.32 del sei aprile del 2009 ha fatto precipitare la città e i suoi simboli religiosi. In quei suoni e in quelle immagini c'era in fondo L'Aquila di oggi: il dolore (il tuono), le lacrime (la pioggia), il sole che incurante del temporale ha infilato la sua luce fra le nubi nere lanciando, nonostante tutto e contro tutti, un messaggio di speranza. E i fedeli vedendo passare il nuovo pastore della diocesi in mezzo a quella basilica dove riposano , precarie anch'esse, le spoglie di papa Celestino V, hanno fatto partire un applauso che non è sembrato solo un atto dovuto. Nella mente e nel cuore di molti l'arrivo del nuovo arcivescovo appare una sorta di segno divino come se qualcuno, da qualche parte, si sia accorto che questa terra soffocata dai monti e travolta dalla furia della natura, ha bisogno di una guida forte, capace di condurre il suo gregge con le carezze ma se serve anche con il bastone. Ci sono alcuni passaggi dell'omelia che sono già un programma. Una in particolare ha colpito: sarò servo di Dio, servo di Pietro (e quindi della Chiesa) e di nessun altro. Messaggio chiaro: nessuno pensi di strumentalizzare le mie parole e i miei gesti. E poi il riferimento a Babele – e quindi a una comunità incapace di parlare il linguaggio dell'unità ma sempre pronta a dividersi travolta da egoismi e autoreferenzialità – seguito dall'esaltazione dei figli della Pentecoste che per l'arcivescovo sono tutti gli uomini di buona volontà i soli che possono far risorgere L'Aquila. Non è mancato un significativo confronto-incontro fra buio e luce . Il buio in cui la città è precipitata quattro anni fa e la luce che ritrova pian piano il suo spazio e che da quel buio può trarre anche insegnamenti positivi. Forte nei toni e commovente per il suo significato più profondo il passaggio in cui ha detto: «Mi metto in ginocchio davanti ai 309 martiri del terremoto e alle loro famiglie». E' lì che il nuovo arcivescovo ha rivelato a pieno il suo essere uomo di fede consapevole però che in mezzo alla folla che lo ha accolto c'erano persone che quella notte sono state segnate per sempre e continuano a farsi mille domande che quasi mai trovano risposte. Il binario, su cui corre da un lato la fede che è anche speranza per il presente e dall'altro l'azione concreta per far rinascere la città che ha mura e coscienze spezzate, è sembrato la linea guida di un uomo che ha accettato, su richiesta di Papa Francesco, un compito arduo che comporta e comporterà responsabilità che resteranno impresse nella storia del capoluogo di Regione. Da oggi quindi la diocesi si avvia su un percorso nuovo tutto da conoscere, sperimentare, capire e approfondire. Un applauso convinto è partito anche per monsignor Giuseppe Molinari che lascia forse a malincuore la diocesi dopo anni in cui l'azione pastorale è stata oscurata da polemiche e polemicucce di ogni genere. Sarebbe oggi ingeneroso criticare monsignor Molinari per quello che poteva fare e non ha potuto fare. Resta il fatto che da tempo si sentiva il bisogno di un vescovo autorevole capace di parlare a tutti e ridare ai fedeli l'immagine di una Chiesa vicina alla gente. Ci sono paesi e borghi in cui il terremoto è stato spietato e dove non sempre le persone trovano un aiuto spirituale adeguato. E' lì che forse le chiese devono tornare a spalancare le porte e non solo aprire uno sportellino a orari fissi come se fosse l'ufficio anagrafe. Anche per questo Petrocchi rappresenta una speranza per gli aquilani. Il tempo dirà se è ben riposta.