Una lunga scia di sangue lungo il canale maledetto

I precedenti: il giovanissimo Giancarli e Peppe Asci, il barista amico di tutti All’incrocio tra Marruviana e Strada 36 in trent’anni sono decedute 20 persone
ORTUCCHIO. Una croce in più lungo gli argini fangosi del Fucino, un altro nome scolpito affianco a quelli di tante vittime innocenti, e un altro fiore a colorare i grigi canali delimitati dalle lapidi.
La morte di Marco Di Nicola si aggiunge a un elenco che nessuno riesce a chiudere e rappresenta il presente di un vecchio dramma che non ha mai fine. L'acqua stagnante che continua a inghiottire macchine e con loro padri, madri e figli, è torbida come il destino che accomuna tutte le vittime di quelle strade maledette. Vie che fermano i desideri, i sogni e le speranze di tanti giovani che lì hanno perso la vita, in quell'acqua gelida che non lascia scampo.
È quello che è accaduto a marzo scorso a Fortunato Onofri, pensionato di Gioia, o a Francesco Iaboni detto Checchino, commerciante agricolo di Luco, o a Romolo Graziani (36), avezzanese. Assomiglia anche all'incidente stradale che costò la vita a Giuseppe Asci, il barista di Pescina morto annegato in un canale, dramma che però aprì la strada a un cambiamento epocale permettendo alla Provincia di avviare i lavori di messa in sicurezza delle strade, fino ad allora senza alcuna protezione.
Lo stesso destino di Asci era toccato poco prima, a dicembre del 2012, ad Alessandro Giancarli, 23 anni, di Capistrello, dipendente della Telespazio, assunto pochi giorni prima e con tutta una vita davanti. Anche lui è morto annegato dopo essere uscito di strada a causa del ghiaccio mentre, andava a lavorare.
E così la morte di Marco Di Nicola, avvenuta allo stesso punto, sembra una storia già scritta. Non si contano più, negli anni, le vittime del Fucino. Solo all’incrocio tra la Marruviana e Strada 36 ci sono stati nell’ultimo trentennio oltre una ventina di morti.
Alcuni invece ce l'hanno fatta cambiando quel destino avverso grazie agli angeli custodi del Fucino, coloro che rischiano la vita per salvare quella degli altri tuffandosi nell'acqua per estrarre i feriti dall'auto che affondano. Gli altri, la maggior parte, non hanno avuto la stessa fortuna.
Pietro Guida
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