Accusato di aver sfregiato l’amica conosciuta in chat (che si è poi suicidata): condannato a 5 anni

5 Giugno 2025

La donna si era tolta la vita due giorni prima dell’inizio del processo. Lui è uno scrittore e storico d’arte, ipovedente: «Non riesco a comprendere come possano pensare che abbia fatto una cosa del genere»

PESCARA. Si conoscono via chat tramite un noto sito di incontri, si danno appuntamento e iniziano a frequentarsi (siamo a maggio dello scorso anno). Una ventina di giorni nei quali convivono nella casa pescarese dell'uomo, che poi finisce travolto da una vicenda giudiziaria: accusato di lesioni aggravate da uno sfregio permanente fatto sul viso di quella donna di 55 anni, peraltro deceduta due giorni prima che iniziasse il processo, morta suicida (pare avesse tentato più volte di togliersi la vita, stando alla difesa dell'imputato). E ieri l'imputato, 75 anni, ipovedente, scrittore e critico d'arte veneto, conoscente di artisti importanti a cominciare dallo scultore pescarese Pietro Cascella, è stato condannato a 5 anni di reclusione dai giudici del collegio (il pm Gabriella De Lucia aveva chiesto la condanna a 8 anni per un reato reso più grave dallo sfregio permanente, la cui pena va dagli 8 ai 14 anni).

Una storia, comunque, tutta da raccontare che ruota attorno a quell'unico litigio (del 18 giugno 2024) che fece scattare denunce incrociate: una presentata dall'uomo, che riferì di essere stato aggredito dalla donna da poco conosciuta (archiviata dalla Procura); l'altra della donna che lo accusava di averle procurato quello sfregio permanente sulla faccia con un pezzo di un piatto di ceramica che era volato durante il litigio.

E ieri, prima della discussione finale, il collegio ha esaminato l'imputato, assistito dalla penalista Roberta Giansante. L'uomo ha ripercorso quel breve periodo dalla conoscenza alla misura cautelare di divieto di avvicinamento che venne emessa nei suoi confronti dopo la denuncia della donna. Una misura che però durò davvero poco perché la donna ripartì subito per la Campania, sua regione di origine. Lui dal Veneto aveva deciso di venire a vivere a Pescara per la qualità della vita e, quando conobbe sul sito la parte offesa, quest'ultima decise di fare il grande passo e di lasciare la sua terra campana per andare a Pescara.

Il 75enne, però, non sapeva che la donna, come da lui stesso riferito in aula, era un’alcolista cronica, che diede il primo segnale quando, proprio venendo a Pescara, ebbe un incidente e finì in ospedale dove accertarono che aveva un alto tasso alcolico, subendo le conseguenze giudiziarie. Comunque in quei primi giorni di convivenza tutto sembrava filare liscio: un vero idillio. Poi quell'equilibrio si ruppe, almeno stando al racconto dell'imputato, per una causa ben precisa. Quando cioè lui si offrì di aiutare la donna a vendere la casa, in cambio di una percentuale.

Lì sarebbe scattato il sospetto, da parte della donna, di una sorta di truffa. Si arriva quindi al giorno del furibondo litigio, dove lui sostiene di essere stato aggredito e quasi strangolato dalla donna con il filo del telefono stretto al collo. Volano anche i piatti e un pezzo di ceramica appuntito viene raccolto dall'uomo che ferisce la donna in viso. Il legale ha cercato di spiegare ai giudici che il suo assistito era coperto di sangue della donna perché era sotto, sovrastato dalla compagna e quindi si sarebbe difeso come poteva, soprattutto perché non vedeva.

Tesi smentita dalla proprietaria della casa dell'imputato che avrebbe riferito di aver visto l'uomo leggere libri e consultare il cellulare, cosa negata dall'interessato e anche da un consulente che ha spiegato in aula il grado di cecità dell'imputato (ma il pm ha chiesto l'acquisizione di quella testimonianza per valutarne l'attendibilità).

«Io sono un pacifista convinto - ha detto a margine del processo l'imputato in attesa della sentenza - Ho partecipato a convegni e scritto contro la discriminazione delle donne nell'arte. Non riesco a comprendere come possano pensare che abbia fatto una cosa del genere. È lei che mi aggredì. Tanto è vero che uscii per strada in mutande per chiedere aiuto e fui io a chiamare i carabinieri». Il legale, Roberta Giansante, attenderà i motivi della sentenza per procedere al ricorso in appello. 

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