Acerbo: il mio liceo? Tutto rock e politica

Il neo segretario nazionale di Rifondazione: che anni al Da Vinci

PESCARA. «Con tutti gli scioperi e le occupazioni che gli ho fatto fare quando andavo a scuola, credo di aver contribuito in maniera decisiva a rendere meno pesante gli anni delle superiori a gran parte degli studenti pescaresi della mia generazione». Partono dal liceo scientifico Da Vinci, l’impegno e la militanza politica che il 2 aprile hanno portato il pescarese Maurizio Acerbo, 52 anni a dicembre, già consigliere comunale, regionale e deputato, a diventare segretario nazionale di Rifondazione comunista.

È stato rappresentante di istituto, portavoce e coordinatore degli studenti, segretario della Figc. Quando si è diplomato?

Quando è morto Berlinguer, nell’84. Ero sotto esami di Stato e andai al funerale con un pullman della sezione Curiel.

Come andò l’esame?

Il voto? 51.

Come mai proprio 51?

Credo che ad abbassarmi il voto abbia contribuito il fatto che mi sono seduto all’orale dicendo che mi rifiutavo di rispondere a domande su D’Annunzio perché era uno dei responsabili del massacro della guerra mondiale e dell’avvento del fascismo. Solo che il commissario esterno era un appassionato di D’Annunzio. Abbiamo avuto una discussione, mi voleva stagnare, ma ebbi un colpo di fortuna perché alla prima domanda aprì l’antologia del Pazzaglia per farmi leggere e commentare L’Infinito di Leopardi, una delle poche poesie che conosco a memoria. E gliela recitai.

Materia preferita?

Sempre stata storia.

Chi era il professore?

Una professoressa, Fiorella, di Foggia. Molto distante dalle mie visioni.

Litigavate?

Litigare no, ma mettevo in discussione spesso l’impostazione delle sue lezioni. E siccome era solita saltare Marx, glielo feci notare e lei: “bene, allora lo spieghi lei alla classe”. Mi invitò a nozze, Marx l’avevo già letto e digerito e feci la mia lezione con la classe che per spirito di solidarietà prese appunti, fece domande, anche i più casinisti.

Quando ha iniziato a fare politica?

A scuola, attivista dal primo giorno di liceo, 1979. Ma sono comunista già dalle elementari.

Come fa a ricordarlo?

La mia prima reminiscenza risale al 1968, quando ho visto lo sceneggiato la Freccia nera. Si scontravano due schieramenti di ricchi. I poveri prima parteggiano per una fazione e poi capiscono che i ricchi sono tutti uguali. E lì ho capito subito da che parte stare. E poi a pochi metri da casa mia, in viale Bovio c’era la sezione Curiel, ci sono cresciuto in mezzo. Mio padre era socialista.

Il primo giorno al Liceo.

Fui fermato dalla polizia, mi presero i documenti perché distribuivo i volantini del Pdup come mi chiese Piero Fidanza, che faceva il quinto ed era dovuto entrare subito. Ma arrivò l’ispettore Fatone e quelli che diventarono poi gli amici della Digos, che mi hanno seguito per 13, 14 anni. Mi ricordo che essendo entrato in ritardo per questa cosa dei documenti, il giorno dopo una mia compagna, credo Alessandra Rosica, mi portò il poster di Che Guevara dismesso dalla sorella maggiore. Pochi giorni dopo cominciammo l’occupazione. Durò almeno venti giorni.

Per che cosa?

Sulla mancanza di aule, per cui si facevano lezioni di 50 minuti e i doppi turni. Era una sottrazione al diritto allo studio che divenne una vertenza nazionale per la quale a Pescara portammo in piazza diecimila studenti.

Che cosa si faceva durante l’occupazione?

Eravamo ancora in clima anni Settanta, erano occupazioni serie. Si giocava a pallone nei corridoi, ma c’erano anche i seminari, le assemblee erano partecipate, c’erano varie posizioni politiche all’interno del Collettivo, i gruppi di sinistra erano tanti: Figc, Giovani socialisti, Pdup.

Chi erano “i nemici”?

I nostri avversari politici erano quelli di Comunione e liberazione. È proprio grazie a Cl che ho cominciato a parlare in pubblico vincendo la mia timidezza. Era il primo superiore, noi seguivamo con passione la rivoluzione sandinista in Nicaragua, una cosa eccezionale, che aveva abolito la pena di morte. Collaboravamo con padre Francesco della Fuci in iniziative per l’America Latina. E Cl faceva propaganda contro. Per questo intervenni in assemblea, risultando abbastanza convincente. Da quel momento i più grandi del Collettivo mi buttavano sempre dentro. Ma finchè ci sono stato io, allo Scientifico c’è sempre stata l’egemonia della sinistra, abbiamo sempre stravinto le elezioni, dal Secondo in poi.

Chi c’era?

Tanti. Mi ricordo un carissimo amico, un chitarrista hard rock, Stefano Turano, grande intellettuale. Fece il Dams, lavora in Germania. Fondammo la rivista “Underground spleen” e nell’85 organizzammo “Spleen on the beach”, due giorni di rock e performance sulla spiaggia del Quattro vele che ci concesse l’ottimo Guglielmo, il proprietario.

È stato mai sospeso?

Mi sembra mai. Di sicuro, pur non essendo stato un secchione, non sono stato mai rimandato. Ma fu importante la lezione di Michelino Petrarca, il preside. Un mito. Veniva in classe a portare le pagelle. Alla fine del primo quadrimestre del Primo avevo delle insufficienze in matematica e quando Petrarca mi consegnò la pagella invece di farmi la ramanzina qualunquista, devi studiare e via dicendo, mi disse “guarda che ti ho visto, lo so che fai il rivoluzionario, ma se vuoi fare il rivoluzionario devi studiare, i rivoluzionari devono sapere di più degli altri”.

E i professori?

Ho un ricordo ottimo di tutti. Mi ricordo il professore di Disegno e storia dell’arte, Sersante, e poi Bernardi di educazione fisica, la Longhi e la Maresca di italiano, bravissime. Clerico, il professore di matematica simpaticissimo a cui seguì Di Felice nel triennio, poi di Scienze Olivia Bonivento, con cui avevo una fortissima sintonia sociale, la Chiappino, che sostituì la Maresca per un anno. E poi la Ranieri, di Scienze, faceva schiattare dalle risate. Veniva in classe con la maglia a collo alto, come si usavano allora, e si tirava su il collo fino al naso. Il primo che rompeva il silenzio e cedeva alla risata veniva interrogato.

E religione?

Sempre stato bravissimo in religione. Mentre gli altri giocavano a carte, intavolavo discussioni accese con il professore.

Chi era?

Al biennio Pittarello, un prete, bravissima persona, mi indusse a leggere Sartre. Poi Rocco Mincone, un sacerdote con cui avevamo spesso dei conflitti. Voleva fare l’integralista ma era simpaticissimo. Con lui organizzammo il festival del liceo scientifico che poi si fece ogni anno, nell’aula magna della scuola. Un festival rock autogestito da noi studenti, con gruppi che venivano a suonare anche da altre scuole. Il professore divenne parroco di Penna Sant’Andrea e lo andavamo ad aiutare nei lavori in chiesa. Io, Antonio Di Nardo, Danilo De Sanctis, Gelsumini.

Ecco, i compagni di classe. Li vede ancora?

Ci siamo visti proprio venerdì sera. Con Antonio Di Nardo, veterinario alla Asl di Chieti abbiamo fatto insieme asilo, elementari, medie e superiori. Vedo spesso lui, Danilo De Sanctis, il vero artista della classe che ogni anno componeva il brano di chiusura, sempre esilarante, del festival dello Scientifico; qualche volta Piccinini, filosofo di grandissima sensibilità. Su Facebook ho ritrovato Michaela Barilari, la più brava della classe. Avevamo tanti interessi in comune, soprattutto rock e new wave. Non c’è più Giammaria, bravissimo ragazzo. Fu investito a Pisa, dalla polizia, mentre legava la bici a un palo, durante l’università. Con Lucio Ferrari e Pia Artese, vigili urbani, condividiamo il compleanno, 4 dicembre 1965. Di quella classe perdemmo per strada Eliseo Marrone. Ci faceva morire dalle risate, poi all’università è andato benissimo, fa il geologo. Come Armin, anche lui un po’ incasinato alle superiori, poi ha fatto benissimo.

Il ricordo più bello ?

Ho un ottimo ricordo degli anni della scuola e di tutte le persone che ho incontrato. È il bello della scuola pubblica: ti ritrovi con ragazzi di quartieri e famiglie completamente diversi dai tuoi, e impari. È un presidio di civiltà che va difeso, una convivenza umana molto bella. Un pezzo di socialismo.

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